
Proust, l’11 dicembre 1919, all’indomani dell’assegnazione del premio Goncourt, e circa due mesi dopo l’entrata a Fiume dei legionari fiumani al seguito di D’Annunzio, intenti a riprendersi l’Istria e la Dalmazia loro negata dai burocrati, pubblica sul Matin un’anticipazione del suo romanzo maggiore, inserendo un ironico cammeo sull’impresa fiumana.
Il brano in questione, che avrebbe dovuto far parte del sesto volume della Recherche, ossia del tomo Albertine disparue, poi La Fugitive, fu ripreso in Italia nell’edizione del 2 settembre 1924 del quotidiano Il Mondo (fondato da Giovanni Amendola a Roma), nel quale si riproduceva tradotto ma per poi apparire, curiosamente purgato del riferimento a D’Annunzio, nell’edizione definitiva della Recherche.
Il traduttore dell’epoca, che si firmava con la sigla G.S., dava in questo modo in pasto al pubblico italiano questo gustoso estratto, che vede un elogio piuttosto enfatico, per non dire smaccato, rivolto a d’Annunzio da parte di un misterioso autore francese di nome Marcel, appunto, Marcel Proust.
Ne abbiamo discusso con il curatore del volume edito da Luni Editrice: Giovanni Balducci.
Partirei col chiederle i motivi del riportare alla luce un inedito così peculiare nella bibliografia proustiana.
Lo abbiamo fatto perché ci sembrava interessante far emergere il nesso culturale esistente fra queste due grandi figure dell’Europa fin de siècle che sono, appunto, Marcel Proust e Gabriele D’Annunzio. Tanto più, in vista del centenario della morte del grande scrittore francese.
Perché Proust, a suo parere, passa dall’elogio, non mascherato, al Vate alla decisione di non includere ‘Soggiorno a Venezia’, nel volume della ‘Recherche’?
La questione, seppur di non facile risoluzione, come scrivo nella introduzione al testo, credo risieda semplicemente nel fatto che la vicenda fiumana, come accade per tutti i fatti e le notizie, era nel frattempo passata di moda…
Possiamo parlare di reciproci debiti letterari tra d’Annunzio e Proust? Debiti che resero impossibili rapporti distesi?
Non c’è dubbio sul fatto che D’Annunzio fosse al tempo un personaggio di primo piano della cultura e del costume europei, e che quindi molti fossero, soprattutto fra i suoi “colleghi” più giovani, a risentire in via generale del suo esempio sia in letteratura che ricalcandone le abitudini mondane. Quanto a debiti dannunziani nei confronti di Proust, direi piuttosto che alcune delle ultime opere del Vate risentono più che altro della moda letteraria del tempo, molto intimista, che vede certo nella Recherche di Proust uno degli esempi più noti e meglio riusciti.
Nell’introduzione è citato Robert de Montesquiou. Che ruolo ebbe nella vita di entrambi i letterati?
C’è da dire come, innanzitutto, Robert de Montesquiou fu certamente una delle figure di primo livello della vita mondana della Parigi di quegli anni, incarnando alla perfezione la figura, già individuata da Baudelarie nel Peintre de la vie moderne, del dandy. Fu lui ad ispirare la a volte repellente figura del barone di Charlus a Proust, che pure lo stimava tantissimo, e fu lui, pare, a fare da sponsor per l'”esiliato” D’Annunzio nel côte parigino. Come a lui, molto probabilmente, si deve l’incontro fra i due grandi scrittori nei camerini del Théâtre du Châtelet, dopo la prima del Martyre de Saint Sébastien.
Emanuela Borgatta Dunnett