Gabriele d’Annunzio al Vittoriale nei ricordi di Luigi Mometti

Intervista ad Elisabetta Conti

Gabriele d’Annunzio al Vittoriale nei ricordi di Luigi Mometti

Un volumetto che è un piccolo gioiello. Gabriele d’Annunzio al Vittoriale nei ricordi di Luigi Mometti ad opera di Elisabetta Conti rappresenta un percorso insolito alla scoperta degli anni trascorsi dal Vate al Vittoriale. Seguendo una documentazione inedita, l’autrice, svela un d’Annunzio inconsueto, riportando alla luce i ricordi di Luigi Mometti, il quale – per diciassette anni – lavorò presso la dimora sul Garda come factotum (dal 1921 al 1938) per poi divenirne, in seguito alla morte del Poeta, fedele custode per altri trentasei anni.

Inizierei con chiederle com’è approdata all’idea di approfondire i rapporti tra d’Annunzio e Mometti?

L’idea è nata dall’incontro a Gardone Riviera, dove risiedo, con Giuliano Mometti, figlio di Luigi Mometti, che, conoscendo la passione per la ricerca storica che fa parte del mio impegno universitario, mi riferì che avrebbe gradito che vedessi la documentazione presente nell’archivio di famiglia. Trovai una ricca collezione di autografi e lettere inedite, oltre a molte fotografie, che Gabriele d’Annunzio aveva donato a suo padre Luigi negli anni tra il 1921 e il 1938, periodo in cui il Comandante visse al Vittoriale.

Nel 1921 infatti Luigi Mometti entrò a lavorare come apprezzato tappezziere al Vittoriale e negli anni a seguire venne definito da d’Annunzio: “Artiere di ogni arte, fedelissimo tra gli amici, il più ingegnoso dei miei discepoli. Gigifatutto”. Nel 1933 nacque il primo figlio di Gigi che, su indicazione di Gabriele d’Annunzio, venne chiamato Dalmazio o Momo e nel 1937 il secondo figlio, appunto Giuliano, che seguì il padre al Vittoriale.

Nell’archivio rinvenni anche la registrazione del 1972, ad opera di un cugino, di una visita guidata al Vittoriale curata da Luigi Mometti. Si trattava di una di quelle visite private che solo alcuni personaggi di rilievo potevano ottenere con il beneplacito dei Presidenti di turno della Fondazione del Vittoriale, in quanto il Vittoriale verrà aperto al pubblico solo nel 1974. Sentendo quella registrazione e analizzando la documentazione originale mi parve ne uscisse un d’Annunzio vivo e diverso, più intimo, raccontato da un testimone oculare di avvenimenti entrati nel mito. Decisi che la registrazione andava allegata al volume perché tutti potessero giovarsi di quel racconto unico e diretto. Sappiamo che le visite guidate di Luigi Mometti si susseguirono dalla morte del Poeta fino al 1974, data di apertura del Vittoriale al pubblico, e sono testimoniate dalle splendide fotografie presenti nel volume che lo ritraggono con Anna Proclemer e Giorgio Albertazzi, Ugo Tognazzi e Claudia Cardinale, Renzo Ricci ed Eva Magni, Edmonda Aldini. Paola Borboni e l’etoile Carla Fracci. La sua guida mirabile venne richiesta anche da Peppino De’ Filippo, Salvator Gotta, Tino Carraro, e tutti lasciarono fotografie e biglietti di ringraziamento a Gigi.

Quali sono stati gli eventi più significativi rilevati durante le ricerche d’archivio?

Capii subito che il rapporto di fiducia che negli anni si era instaurato reciprocamente tra d’Annunzio e Gigi Mometti era proprio testimoniato da quei documenti inediti e dalle fotografie dell’archivio di famiglia. Ho così ricostruito tutto l’arco temporale della permanenza di Mometti nella casa del Comandante, come Mometti lo chiamava, e quindi ho capito che avevo tra le mani una documentazione inedita della vita privata del Vate, vista con gli occhi di uno dei suoi più fidati collaboratori. Il figlio Giuliano mi ha più volte confermato la stima che suo padre nutriva per d’Annunzio e la generosità del Poeta verso la sua famiglia.

Luigi Mometti è stato quindi il silenzioso ed attento testimone degli ultimi 17 anni di vita di Gabriele d’Annunzio al Vittoriale (dal 1921 al 1938) ed il custode poi, per altri 36 anni, della dimora e dei ricordi di vita del Vate.

Appresi dai documenti custoditi da Mometti che d’Annunzio si chiudeva con il catenaccio nella stanza del Lebbroso in meditazione per notti intere e aveva posto qui i ricordi più cari: le fotografie della madre, della sorella e di Eleonora Duse, la musa ispiratrice.  Mometti svelava anche qual era la musica preferita di d’Annunzio ed eseguita al Vittoriale dal Quartetto veneziano Poltronieri: Bach, Mozart, Beethoven, Debussy, oltre alle sonate di Luisa Baccara, e ci narra che durante le esecuzioni il Vate faceva chiudere le tende per migliorare la resa acustica, poi faceva accendere le lampade di Murano a forma di frutta e verdura che rendevano la stanza, secondo Gigi, un luogo da Mille e una notte.

Nella testimonianza di Mometti è pure descritto l’arrivo di Benito Mussolini al Vittoriale e si ricorda che Gabriele d’Annunzio fece leggere al Duce la frase incisa sullo specchio della Sala del Mascheraio che termina con: “Aggiusta le tue maschere al tuo viso/Ma pensa che sei vetro contro acciaio”, una bella sfida intellettuale che Mussolini accolse con un piccolo sorriso tra l’ironico e l’irritato, del resto erano noti i frequenti contrasti di opinione tra il Duce ed il Poeta.

Attraverso le ricerche d’archivio ho scoperto anche l’anima delle due signore del Vittoriale: Maria Harduoin di Gallese, la moglie di d’Annunzio, spesso ospite a Villa Mirabella, definita da Mometti comemolto cortese ed intelligente, che aveva intuito che il Poeta dovesse essere libero e manteneva col marito una buona relazione facendogli spesso doni graditi, che egli teneva in grande considerazione, e Donna Luisa Baccara, la pianista veneziana, che era la vera “governante” di casa, caratterialmente forte e determinata.

La testimonianza di Mometti ci racconta inoltre della volontà di d’Annunzio di donare tutto ciò che possedeva all’Italia dopo la sua morte: infatti già nel 1923 aveva firmato l’Atto di donazione del Vittoriale all’Italia e nel 1925 il Vittoriale fu dichiarato monumento nazionale. D’Annunzio spesso ripeteva a Mometti: “Gigi, vedi cosa lascio io qui allo Stato al quale ho donato tutto? Qui, per esempio, ci sono tre colonne di onice: costano come l’oro”. Tutti i libri, gli oggetti, gli arredi, le automobili, i monumenti come l’arengario, la nave Puglia, il teatro, tutto diverrà proprietà degli italiani, i libri saranno in consultazione per gli studiosi, secondo la volontà di d’Annunzio ed il Vittoriale, il museo delle vittorie, è ancora oggi il Vittoriale degli italiani.

Cosa ci svela del carattere di d’Annunzio, la testimonianza unica ed intima di Mometti?

E’ un d’Annunzio quotidiano quello che ho cercato di ricostruire attraverso le carte di Mometti, un d’Annunzio inedito, per certi versi, attento alla vita dei propri collaboratori, capace di esaltare ogni loro capacità,  generoso. La parola “gratitudine” venne più volte pronunciata nel privato dal grande Poeta, che la dimostrò nei fatti a Mometti, ponendosi al di fuori dei consueti clichè di superomismo che caratterizzano tanta analisi critica.

Gigi rivela che: “Stare vicino al Comandante non era solamente stare vicino ad un grande signore: la sua carità, la sua generosità superavano i limiti. Sapeva dare grandi soddisfazioni, aveva parole straordinarie: bisognava affezionarsi per forza. Era peraltro anche un uomo tormentato, irrequieto, non aveva mai pace; un uomo da afferrare”, che Gigi chiamava il vulcano. Mometti si limita a negare l’avarizia di cui si accusava d’Annunzio: più volte accenna alla generosità del Comandante, anche verso i dipendenti: non sono poche infatti le lettere e le buste arancioni, gialle o bianche complete di ceralacca con il motto Io ho quel che ho donato, che contengono alcuni denari in dono: “Per S. Luigi”, “Alla mia salute”, “Al bibliotecario Gigi. La Befana”, “1934 a Gigi buona Pasqua”, “A Gigi saluti e auguri”, “Caro Gigi, oggi è il giorno del tuo nome”.

Mometti ci racconta inoltre di un d’Annunzio preoccupato di non essere capito dai posteri per ciò che costruisce al Vittoriale come espressione della sua anima, del connubio tra arte e eroismo. Un giorno infatti d’Annunzio gli confidò: “Gigi, tu sei giovane, io sono vecchio. Quando sarò morto, tu ci sarai ancora; verranno qui a visitare la mia casa. Ti diranno: ‘Che cosa ha fatto qui il comandante?’ Non capiranno, sai, i miei studi”.

Gigi si era lasciato sfuggire in famiglia che D’Annunzio amava cenare da solo. Il posto di Gabriele d’Annunzio invece al tavolo nella sala della Cheli era fisso e, proprio di fronte a lui, Gigi raccontava di aver visto alcuni commensali importanti tra cui: Guglielmo Marconi, il Principe Umberto di Savoia e la Principessa Maria José, Arturo Toscanini.

Quando lavorava nell’Officina, nel suo studio, invece il Comandante ritualmente alzava e abbassava il telo che copriva il volto della statua della Duse, la sua ispiratrice, e non voleva essere disturbato per 8-10 ore di seguito durante le quali neppure pranzava. Il lavoro avveniva in pieno raccoglimento e non dovevano esserci neppure rumori provenienti dall’attività dei giardinieri.

Luigi Mometti ricorda anche il d’Annunzio arredatore, che sceglieva con immenso scrupolo le stoffe e i colori ed armonizzava tutto, stendeva bozzetti di arredi, che abbiamo nella documentazione, perché era solito ripetere che: “Ciò che si fa qui dentro deve essere fatto dal Comandante, da nessun altro” ed era molto attento all’ordine in casa e si accorgeva del minimo spostamento degli oggetti. I cuscini li metteva a posto tutti il Vate, come nella sala delle Reliquie, perché era una composizione che aveva personalmente realizzato e gli oggetti avevano un ordine preciso e simbolico. La lampada votiva di fronte alla fotografia della madre nell’Oratorio dalmata doveva essere sempre accesa. I riti erano importanti dunque per d’Annunzio e anche le abitudini giornaliere tanto che raccomandava, profetico, a Mometti: “Gigi, tu rimani vicino a me, ti raccomando di non perdere le abitudini del Vittoriale”.

Emerge altresì dalla documentazione di Luigi Mometti che il Comandante poneva attenzione anche ai lavoratori che prestavano la loro opera al Vittoriale, con una generosità che non immaginavamo: infatti in una lettera scriveva: “Caro Gigi, l’Uomo propone e il Malanno dispone. Stamani, proprio come ormai mi accade spesso, non mi sento bene. Avverti e, se qualche operaio è venuto apposta, gli dò la sua giornata, anche se non fa niente. Abbi pazienza. Gabriel”.  

Quale pensa sia stata l’importanza di Mometti al Vittoriale, anche dopo la morte di d’Annunzio?

Gigi Mometti è stato il fedele custode della casa e della vita quotidiana di Gabriele d’Annunzio al Vittoriale. Dopo gli anni operosi con il Comandante che lo chiamava bonariamente: “Tappezziere, fabbro, muratore, falegname, materassaio, cuscinaio, elettricista, arrotino, pittore, fatuttolui ”, giungono per lui, dopo la morte del Poeta nel 1938, gli anni della custodia della casa e del mito di d’Annunzio.

E’ d’Annunzio che lo chiama al Vittoriale in pianta stabile dal 1921 ed affida a Mometti anche compiti molto personali come spedire vaglia telegrafici a Pescara, alla famiglia, accogliere la moglie Maria quando giunge a Villa Mirabella, lascia a lui un biglietto per una giocata di terno al lotto al Botteghino del Lotto in Salò per un venerdì mattina con accluse lire trecento. Lo definiva nelle lettere : “fedelissimo tra gli amici”, sicuramente qualcosa di più di un semplice collaboratore, era un compagno di arti fedele, devoto e sincero.

Il Poeta si affidava a Gigi anche per la disinfestazione dalle formiche: “Abominate anche da Sancto Francesko”. Ascoltava Gigi per ogni lavoro da svolgere in casa: lavorano fianco a fianco e nei molti biglietti a lui indirizzati emergeva la figura di un vero compagno di vita quotidiana nelle arti manuali del Poeta.

ll 23 giugno del 1963 l’allora Presidente del Vittoriale Umberto Zanatta eseguiva la traslazione della salma di Gabriele d’Annunzio al Mausoleo e anche questa volta Gigi Mometti era presente nel momento in cui veniva traslata la salma del Comandante dal tempietto al Mausoleo: l’arca del Poeta venne posta al centro ed intorno ad essa si trovavano le arche dei suoi legionari fiumani: Conci, Asso, Bacula, Gigante, Cabruna, Locatelli, Piffer, Siviero, Gottardo, Keller.

Il 20 agosto del 1963 Luigi Mometti per la devozione mostrata in tutta la vita a d’Annunzio venne nominato dal Presidente Umberto Zanatta custode ufficiale della casa del Poeta.

Un testimone presente in una delle visite private di Mometti nella casa di d’Annunzio mi ha detto: “Chi ha avuto la fortuna di visitare gli appartamenti dannunziani giovandosi della sua guida, aveva l’impressione di compiere non già una visita ad un museo, ma una straordinaria avventura, un viaggio in una casa ancora viva e abitata. Con la ricchezza degli aneddoti delle “cose viste”, che Gigi raccontava stanza per stanza, aggiungendo sorpresa a sorpresa, gli pareva di dare vita alla figura del Comandante.[…] Per contro, di fronte ai visitatori importuni e irrispettosi, si chiudeva nel riserbo, eludeva le curiosità stupide o pettegole”. 

Mometti ricordava anche ai visitatori l’ultimo drammatico distacco dal Comandante: la sera del primo marzo 1938 alle ore 20,40 il Poeta si era alzato dal tavolo della zambra del misello, il poveretto, la Zambracca dove spesso lavorava per recarsi a cena. Aveva detto: “Mi sento male”. Era poi caduto sulla sedia e non aveva più pronunciato alcuna parola. Era l’ultimo giorno di carnevale e d’Annunzio aveva appena dato il permesso a Gigi di uscire in anticipo. Luigi Mometti però venne subito richiamato e,  mestamente, tenne in braccio, morto, il suo Comandante vestito da generale.

Gigi ricordava che nella Zambracca tutto era rimasto come lo ha lasciato il Poeta quella sera. Gigi per la grande devozione, il rispetto e la riconoscenza verso il Comandante ripeteva che tutto nel Vittoriale doveva rimanere come il Poeta voleva  e ne aggiungeva la spiegazione: “Dicono che i  morti vedono”.

Dopo la morte del Vate si comportava come se il Comandante dovesse tornare da un momento all’altro e quindi doveva trovare tutto a posto nella sua dimora: arieggiava la casa, cambiava le lenzuola dei letti, spolverava i soprammobili e gli abiti del Comandante negli armadi.

E’ rimasto fino alla fine il devoto custode delle volontà e delle disposizioni della grande scenografia del Vittoriale voluta dal Poeta.

Ma Luigi Mometti ha un altro grande merito per gli studiosi di d’Annunzio: ha ritrovato nel 1967 i quarantatrè taccuini inediti del Poeta.

Enrico Falqui, importante scrittore e critico letterario, l’8 giugno del 1967 scriveva sul n. 23 della «Fiera letteraria», settimanale delle lettere delle arti e delle scienze, un bell’articolo dedicato a Luigi Mometti, attribuendogli il merito di aver ritrovato, in un cassetto segreto, i preziosi taccuini inediti del Vate.

I taccuini erano quadernetti che il Poeta portava ovunque andasse, per annotare pensieri, impressioni, per fissare immagini o sensazioni. Aveva iniziato a prendere appunti dal 1881, all’età di diciotto anni ed aveva smesso quando era giunto al Vittoriale, nel 1921. 118 taccuini erano stati già ritrovati e pubblicati, ma altri, certamente, dovevano ancora esserci, come sosteneva la curatrice della raccolta Taccuini, Enrica Bianchetti.

Proprio Gigi fatutto nel sistemare un cassettone dell’Officina aveva individuato un fondo segreto e aveva portato alla luce i mancanti 45 taccuini, di cui 43 compilati e 2 ancora intonsi. I taccuini si riferivano agli anni 1895-1920.

Mometti infine ha il merito di aver continuato a collaborare con l’arch. Maroni, il realizzatore della casa-museo del Vittoriale, anche dopo la morte di d’Annunzio.

Luigi Mometti ha terminato improvvisamente il suo viaggio al Vittoriale e nella vita il 28 gennaio del 1976, lasciando ai figli e a noi, come testimonia questo volume, un’impareggiabile traccia dei suoi ricordi dannunziani.

Posso chiederle a quali progetti sta lavorando e se ci saranno altre novità dannunziane, in futuro?

Attualmente, dopo aver pubblicato il volume di ricette di Martina Bazzani Seresina, una cuoca clarissa dannunziana, sto approfondendo il tema della filosofia del cibo e del vino nel territorio del lago di Garda e ho portato a termine uno studio sulla coltivazione della vite sul Garda nei secoli.

L’autrice:

Elisabetta Conti è docente di Storia e Istituzioni Europee  presso l’Università Cattolica – sede di Brescia.

Ha ricevuto nel 2002 il premio “Città di Brescia – Laura Bianchini”, XIII edizione, per l’impegno culturale da parte del Comune di Brescia.

Nel 2017 ha ricevuto il premio Veronica Gambara come storica e saggista dall’Ateneo di Brescia e dal Comune di Brescia.

E’ stata insignita il 2 giugno 2011, con Decreto del Presidente della Repubblica, dell’Onorificenza di “Cavaliere” dell’Ordine “Al Merito della Repubblica Italiana” per l’impegno culturale.

Dal 2014 è stata nominata dal Governatore Salvatore Rossi consigliere e censore di Banca d’Italia.

Emanuela Borgatta Dunnett