June Miller: la bellezza e la menzogna. Cenni biografici.

June Miller negli anni Trenta.

Non ci è dato sapere se June Mansfield, seconda moglie di Henry Miller, sia somigliata realmente all’immagine mitica attribuitale dal marito. Rimane l’importanza di questa figura che potremmo definire un emblema dell’America sessualmente repressa degli anni Venti che cerca di muoversi controcorrente. Degna, in ogni modo, di nota sia che si parli di una semi-prostituta impenitente sia, più semplicemente, di una giovane donna dalla fervida immaginazione.

Il primo ostacolo nell’avvicinarla, è di tipo anagrafico: in una società, come la nostra, che può stabilire con un basso margine d’errore i nostri spostamenti, sembra impossibile trovarsi di fronte ad una situazione così difficile da decifrare. L’incertezza del nome la riveste, da subito, della giusta dose di mistero.

Kenneth Dick1, il quale nemmeno durante la sua approfondita intervista riuscirà a saperne di più, avanza l’ipotesi di Juliette o Julia (cambiato più tardi in June) Smerthe; mentre Mary Dearborn2, biografa di Miller, utilizza: Juliet – Edith Smith, scegliendo la versione inglese, acquisita dagli Smerthe qualche anno dopo il loro arrivo negli Stati Uniti.

Robert Ferguson3, invece, sintetizza le idee di entrambi battezzandola, più semplicemente, June fin dalle prime battute.

Tutti concordi che, il cambiamento di cognome da Smerthe a Mansfield, fosse dovuto alle velleità artistiche della donna che aspirava a diventare attrice. June non dà delucidazioni a proposito del suo nome ma confessa, a Dick4, un risvolto macabro sul suo cognome, asserendo di essersi ispirata a una delle versioni inglesi per “cimitery” (cimitero): “man’s field”.

La particolare predilezione di June nel cambiare nome agli amici, come nel caso di Martha Andrews, chiamata Jean Kronski, la porta a storpiare anche il proprio nome.

Nemmeno l’ex marito è d’aiuto perché la chiama Julia Smerthe o June Smith, a seconda dei casi; anche se in Nexus4 afferma di aver visto il suo certificato di nascita che riporterebbe: Julia Smerthe.

Per comodità è bene utilizzare il nome acquisito in America: June Smith, oppure quello preso in un secondo momento di June Miller.

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Nata il 28 gennaio del 1902 a Bukovina (Austria) da Wilhelm e Francis Budd Smerthe, seconda di cinque figli, più di ogni altra sosta deve aver inciso, sull’animo della ragazza, il loro definitivo trasferimento a New York, avvenuto nel 1907 anche se diventeranno cittadini americani solo quindici anni dopo, poco prima dell’incontro tra June e Miller.

Il cambiamento da “bambina rispettosa” a donna “posseduta dal demonio”5 deve essere avvenuto proprio in quegl’anni.

La figura della bugiarda prende sempre più piede e il fratello di June, Edward, racconta a Henry di quanto il padre fosse esasperato da queste menzogne, al punto di arrivare a picchiarla.

Tutta la Rosy Crucifixion di Miller viene scritta con l’esclusivo intento di togliere la maschera alla giovane austriaca.

Occorre precisare che la predisposizione alla menzogna può essere seguita alle difficoltà d’inserimento che un immigrato, irrimediabilmente, era costretto a subire. June potrebbe essersi trovata nell’imbarazzante situazione di dover nascondere le proprie origini per il bisogno di sentirsi americana. Non si sente inferiore a nessuno, ed è perfettamente conscia del fatto che ci siano realtà diverse e migliori rispetto alla sua e che i genitori venivano trattati come stranieri a causa del loro accento; tutto ciò non si addice ad una persona “abituata a camminare a testa alta”6, fermamente convinta che la vita le avrebbe dato di più col passare degli anni, ed è così che June trova una speranza nell’illusione di poter intraprendere la carriera d’attrice.

Non accadrà mai, non avrà nemmeno l’opportunità di frequentare un corso adeguato alle sue ambizioni. Lascia la scuola ancora adolescente per aiutare la famiglia, le cui condizioni finanziarie si sono aggravate dopo la morte del padre.

La carriera di taxi-dancer7 inizia negli anni Venti benché June continui a cercare lavori migliori per poter avere a che fare con uomini di un ceto più alto.

Con un lavoro al limite della prostituzione, il corso della sua vita cambia nell’estate del 1923, quando uno scrittore squattrinato, che inizia a dubitare del proprio talento e del proprio matrimonio, entra nel Wilson’s Dance Hall di New York, il locale in cui lei intrattiene i clienti ogni sera.

Anni più tardi, racconterà di essere stata attirata al suo tavolo per averlo sentito menzionare Pirandello, rimanendo sorpresa da una citazione del genere.

La relazione tra i due ha inizio quasi subito, col conseguente adulterio di Henry nei confronti della prima moglie Beatrice Sylvas Wickens che ne rimarrà all’oscuro per qualche tempo.

Le frustrazioni per le rispettive vite fa sì che la loro unione duri più a lungo rispetto alle previsioni. Il primo matrimonio di Miller finisce quando i due amanti sono colti in flagrante, è questa l’occasione giusta per porre fine ad un rapporto ormai logoro.

Divorzio che tocca l’animo di tutti (perché da questa unione era nata una figlia, Barbara) e, a sorpresa, June sembra esserne piuttosto scossa tanto da dichiarare che lei stessa (di tendenze bisessuali) non avrebbe mai lasciato una donna del genere. Più che sincero rammarico sembra, però, un bieco tentativo per far apparire Henry sotto la luce di fedifrago senza cuore, poiché sappiamo dell’inimicizia tra le due donne dalle pagine di “Sexus” e questo potrebbe già essere visto come uno dei primi segni della futura insofferenza tra i due coniugi.

Si sposano il primo giugno del 1924, in onore del nome di lei, con sommo dispiacere della madre di Henry che conosce bene l’irrequietezza del figlio e prevede una rapida conclusione del loro rapporto.

Si trasferiscono al 91 di Ramsen Street, a New York, e la cronaca dei primi quattro anni è ricostruita nelle pagine della Rosy Crusifixion mentre i due Tropici sono i fedeli custodi della vita prima (Cancro) e dopo (Capricorno) la loro unione.

I primi soldi che consentono a Henry di continuare a scrivere gli arrivano da June che se li procura per vie “misteriose”, esasperandolo molto perché non ottiene mai risposte soddisfacenti ogni volta che tenta di saperne di più.

Una volta lasciato il lavoro di taxi-dancer, vende la propria compagnia (limitandosi a questa, a suo dire) a uomini che possono ricompensarla bene e smentisce fermamente le accuse di prostituzione.

L’immagine semplicistica di una June tutta dedita agli affari loschi e agli uomini, è solo uno dei tranelli che Miller ci tende.

I primi tempi non segnano grandi dissapori ma l’animo di June è troppo nomade rispetto a quello di Henry. L’idea tradizionale della casalinga deve esserle parsa insostenibile. Per questo motivo, spesso sparisce per qualche giorno senza dare spiegazioni.

Un lavoro fisso non le interessa, ed è lei ad incoraggiare Miller ad accettare il primo (odiato) lavoro di dipendente alle poste quando si accorgono che il denaro non basta.

Dopo qualche mese la vita con lui non la soddisfa più ed inizia il calvario, di Miller, a causa dell’amicizia di June con Martha Andrews documentata con cura in Crazy Cock.

Rifiuta di presentargliela e ha bisogno di periodi da passare in solitudine, come nelle migliori tradizioni zingare; allo stesso modo lo esorta a non passare troppo tempo con gli amici, perché potrebbero distrarlo dal lavoro. Non vi è alcun dubbio che June abbia capito prima degli altri che gli scritti di Henry avrebbero avuto un futuro.

Alla luce dei fatti, ci appare più propensa a provare nuove avventure rispetto a Henry. Ciò la porta a mettere il marito in secondo piano più di una volta, vuole e cerca di ottenere molto di più rispetto a chi le sta attorno.

“June’s real demon is voraciousness for life, a possession by life, the tasting of its bitterest flavours.”8

Questo scrive di lei Anaïs Nin che accusa entrambi di vivere un’esistenza troppo lontana dalla realtà, anche se ne rimane affascinata.

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La bellezza di June è il minimo comun denominatore di tutti i biografi, e le obiezioni sembrano impossibili poiché scarse sono le prove rimasteci. Le poche fotografie parlano da sole: un volto perfetto che, sommato all’altezza ed al fisico longilineo ne facevano la donna più desiderata nel circolo di amici di Miller e della Nin, e non solo.

Le quattro fotografie superstiti (la quarta proviene dal sito Internet dedicato ad Henry Miller)9 sono di proprietà del fotografo ungherese (francese d’adozione) Brassaï che le ricevette in dono da Henry, poco prima della partenza di June, nel 1932.

Per immaginarla meglio dobbiamo affidarci, esclusivamente, alle descrizioni letterarie.

Tropic of Capricorn, benché incentrato sugli anni successivi al divorzio, contiene una delle descrizioni più toccanti e sincere della sua ex compagna:

“Standing at the edge of the dance floor I notice her coming towards me; she is coming with sails spread, the large full face beautifully balanced on the long, columnar neck. I see a woman perhaps eighteen, perhaps thirty, with blue-black hair and a large white face, a full white face in which the eyes shine brilliantly. […] I remember the smile she gave me – knowing, mysterious, fugitive – a smile that sprang up suddenly, like a puff of wind.

The whole being was concentrated in the face. I could have taken just the head and walked home with it; I could have put it beside me at night, on the pillow, and made love to it. […]  There was an illumination which came from some unknown source, from a centre hidden deep in the earth. I could think of nothing but the face, the strange, womb-like quality of the smile, the engulfing immediacy of it. […]. This smile, this face, was borne aloft on a long white neck, the sturdy, swan-like neck of the medium – and of the lost and the damned. […] Yes, there she is coming full on, the sails spread, the eyes glowing. For the first time I see now what a carriage she has. She comes forward like a bird, a human bird wrapped in a big soft fur. The engine is going full stream: I want to shout, to give a blast that will make the whole world cock its ears. What a walk! It’s not a walk, it’s a glide. Tall, stately, full-bodied, self-possessed, she cuts the smoke and jazz and a red-light glow like the queen mother of all the slippery Babylonian whores.”10

L’età di June non è facilmente calcolabile ed il suo volto, fa venir voglia all’autore di non staccarsene mai.

Sottolinea la particolarità della sua camminata sinuosa ma (e qui incontriamo il vero Miller), alla fine di una descrizione così intensa le affibbia l’etichetta di prostituta, dedita a vizi “babilonesi”. Non abbandonerà mai questi continui riferimenti peccaminosi nei suoi confronti. Eppure non sono immagini del tutto fedeli, perché cercano di ritrarre il loro primo incontro, utilizzando elementi troppo dettagliati per non essere stati elaborati a distanza di tempo.

Più sincero il punto di vista di Anaïs Nin che in Henry & June ricorda così il loro primo incontro:

“A startling white face, burning eyes. […] I saw for the first time the most beautiful woman on earth. […] She was colour, brilliance, strangeness.”11

Il suo pallore, costante di ogni descrizione, la rende una creatura eterea e la distingue da chiunque le stia intorno.

Emana un carisma particolare che cattura le persone più fragili. Il marito di Anaïs, Hugh Guiler infatti, ne rimarrà sempre immune.

Pallore come sinonimo di stenti, di morte, e la stessa June diviene presto una malattia inguaribile per chi decida di entrare nella sua orbita.

Vittima di ritratti a volte eccessivamente carnali che non riescono ad intravedere lo spirito oltre al corpo, come quella del “suo” fotografo, Brassaï:

“When I saw a neck as long as a swan’s emerging from a tight black velour dress, a neck out of Modigliani painting, supporting a wide and striking face with prominent cheeckbones. Beneath green makeup, June’s eyes sparkled, and her full lips, which were very red, stood out against her pale face. I had never seen a face that pale. It was the colour of coconut milk and rice powder. Baudelaire, who loved the art and artifice of a woman’s face would have swooned at the feet of this creature.”12 N.B.

Continui sono i rimandi all’abbigliamento e al vezzo di truccarsi in maniera stravagante anche in pieno giorno per poter dissimulare, sempre.

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L’attitudine di June per la bugia è, all’inizio della sua vita “americana”, solo un tentativo candido di nascondere le sue umili origini eppure, il suo modo di mentire viene descritto, da Miller, come corrotto e malvagio.

Singolare notare come, l’atteggiamento cambi radicalmente nei confronti delle bugie di Anaïs, da tutti perdonate perché considerate costruttivi tentativi di scavare più in profondità dentro se stessa; quasi come se fosse più facile perdonare una persona che infrange le regole con più difficoltà.

June vuole, più semplicemente, essere trattata con rispetto e la menzogna serviva a farla sentire protetta, più matura rispetto alla realtà. Insicurezza plausibile, la sua, se si pensa che all’epoca dell’unione con Henry aveva appena ventuno anni.

Vuole arrivare al livello di conoscenza che Anaïs sembra aver raggiunto e mentire è il modo più immediato per ovviare, a quelle che le sembrano grandi lacune, fingendo di essere stata la protagonista di eventi eclatanti.

La sua voglia di emozioni forti la induce a cercare una parte di spicco nella vita di tutti i giorni, ma il quotidiano difficilmente offre ruoli di questo tipo e, ad una personalità come la sua, l’invenzione deve esser parsa l’unica via d’uscita o, almeno, la più divertente. Uno spirito, senza dubbio romantico, June sa quali sono i limiti del marito.

Un punto molto importante su cui soffermare l’attenzione è l’antisemitismo di Miller che ritroviamo in ogni libro; al quale tenta di rimediare in qualche modo con l’intera Rosy Crucifixion, dedicata a June che è di origini ebraiche: tentativo piuttosto ipocrita di mascherare il suo vero pensiero esaltando le qualità degli ebrei.

Questo pregiudizio deriva dall’innata natura di Henry, solita a ridicolizzare tutto e tutti, e le sue donne sono destinate a patire un forte complesso di inferiorità, come trapela dai Diari della Nin, che non si sente alla sua altezza, e dalla ritrosia di June a presentargli le sue amiche: paura di venire derise e di essere poste sotto una luce totalmente sbagliata.

Ricordiamo le parole della moglie dopo aver letto Tropic of Cancer:

“It is not me, it is not me he is writing about. It’s a distortion. He says I live in delusions, but it is he, it is he who does not see me, or anyone, as I am, as they are. He makes everything ugly.”13

In questa situazione non bisogna stupirsi che l’unica confidente di June fosse Anaïs, la quale a sua volta, viene liberata dal suo comportamento e adotta le menzogne come rimedio per ridare vita al suo rapporto con Hugh.

Mentire è, dunque, una forma di difesa contro tutto, un tentativo di creare realtà parallele che la aiutino a vivere meglio e a farsi accettare. […]


1 Kenneth Dick, Henry Miller Colossus of One, Alberts & Sittard, Holland, 1967, pag. 163.

2 Mary Dearborn, H. Miller: The Happiest Man Alive, Simon & Shuster, New York, 1991, pag. 79.

3 Robert Ferguson, H. Miller: A Life, Hutchinson, London, 1991, pag. 78.

 

4 Henry Miller, Nexus, Flamingo Modern Classics, London, 1993, pag. 80.

   Henry Miller, Nexus, Mondadori, Milano, tr. it. Adriana Pellegrini, 1993, pag. 87.

5 H. Miller, Nexus, pag. 87. – Nexus, pag. 94.

6 H. Miller, Nexus, pag. 148. – Nexus, pag. 157.

7 L’etichetta di “taxi-dancer” era attribuita alle donne che accettavano di ballare, in cambio di una somma di denaro.

8 Anaïs Nin, The Diary, vol.1 1931-34, Swallow Press, New York, 1966, pag. 42.

  Anaïs Nin, Il Diario di Anais Nin Vol. 1, Bompiani, Milano, tr. it. Delfina Vezzoli, 1977, pag. 57.

“Il vero demone di June è la sua voracità per la vita, il suo esserne posseduta, il suo gustarne i sapori più forti.”

9 http//:www.henrymiller.org

10 Henry Miller, Tropic of Capricorn, Granada Publishing Ltd, Frogmore, St Albans, 1966, pag. 310.

    Henry Miller, Tropico del Capricorno, Mondadori, Milano, tr. it. Luciano Bianciardi, pag. 297.

“Lì ai margini della pista da ballo noto lei che mi viene incontro: viene a vele spiegate, il viso largo, pieno, ben bilanciato sul lungo collo che pare una colonna. Vedo una donna di diciott’anni forse, forse di trenta, con capelli nero-azzurri e un gran viso bianco, un viso bianco pieno in cui
brillano gli occhi. […] Ricordo il sorriso che mi diede – saputo, misterioso, fuggevole – un sorriso che balzò improvviso, come un colpo di vento. Tutto il suo essere si concentrava nel volto. Avrei anche potuto prendere la testa e portarmela a casa, avrei potuto tenermela accanto a notte, sul cuscino, e farci all’amore. […] C’era un’illuminazione che veniva da qualche fonte sconosciuta, da un centro nascosto nel profondo della terra. Non potevo pensare ad altro che al viso, alla strana qualità uterina del sorriso, alla sua inabissante immediatezza. […] Questo sorriso, questo volto, si innalzava sul lungo collo bianco, il gagliardo collo cignesco del medium – e del perduto e del dannato. […] Sì, viene diritta, a vele spiegate, gli occhi lucidi. Viene avanti come un uccello, un uccello umano avvolto in una gran peluria morbida. La locomotiva va a tutto vapore; voglio gridare, lanciare un fischio che costringa il mondo intero a prestare orecchio. Che camminata! Non cammina, scivola. Alta, regale, il corpo pieno, padrona di sé, ella taglia il fumo e il jazz e il chiarore delle lampade rosse come la regina madre di tutte le lubriche puttane di Babilonia.”

11 Anaïs Nin, Henry & June, Hardcourt Brace, Orlando, Florida, 1991, pag. 14.

    Anais Nin, Henry & June, Bompiani, Milano, tr. it. Delfina Vezzoli, 1993, pag. 21.

“Una faccia incredibilmente bianca, occhi ardenti. […] vidi per la prima
volta nella mia vita la donna più bella della terra. Lei era colore, vivacità, stranezza.”

12 Brassaï, H. Miller: The Paris Years, Arcade Publishing, New York, pag. 85.

“Quando ho visto un collo simile a quello di un cigno che fuoriusciva da un vestito di velluto nero, un collo uscito da un Modigliani, che reggeva un volto ampio che conquista, con due guance pronunciate. Sotto un trucco verde, gli occhi di June scintillavano e le sue labbra piene, di un rosso marcato, risaltavano sul suo volto pallido. Non ho mai visto un viso così pallido. Era il colore del latte di cocco e polvere di riso. Baudelaire, che amava l’arte e l’artificio del volto di una donna, sarebbe caduto ai piedi di questa creatura.”

N.B. Pei i testi di cui non viene citato il traduttore italiano (perché mai pubblicati in Italia), riporto le mia traduzione che è da considerarsi puramente indicativa.

13 A. Nin, The Diary, vol.1 1931-34 pag. 34. –  Il Diario di Anaïs Nin Vol. 1, pag. 48.

“Non sono io, non sono io quella che descrive. E’ una distorsione. Dice che vivo nell’inganno. Ma è lui, è lui che non mi vede, lui e tutti gli altri, non vedono quel che sono io, quel che sono loro. Fa diventare brutto tutto.”

Tratto da:

JUNE NELLA LETTERATURA DI HENRY MILLER E ANAïS NIN – CON UN PARAGONE AL FILM “HENRY & JUNE”  DI PHILIP KAUFMAN, 2000. Ad opera di:

Emanuela Borgatta Dunnett