Gabriele d’Annunzio ed il suo Guardaroba “magnificissimo”

Gabriele d’Annunzio ed il suo Guardaroba “magnificissimo” – QuiEdit

Intervista a Patrizia Lo Cicero  

L’infinita varietà che Shakespeare attribuì a Cleopatra può, facilmente, essere rimessa in gioco quando si parla di Gabriele d’Annunzio.

Ogni aspetto del suo ‘vivere inimitabile’ è degno di nota ed approfondimento.

E’ il caso del volume: ‘Gabriele d’Annunzio ed il suo Guardaroba “magnificissimo”’ di Patrizia Lo Cicero, edito da QuiEdit.

Un viaggio fra le mise uniche del Vate, sapientemente catalogate ed annotate dall’autrice, la quale ci guida alla loro scoperta e svela molte altre sfaccettature dannunziane, nell’intervista concessaci.

Soffermandoci sul volume dedicato al “Guardaroba magnificissimo” del Vate, perché pensa lo si possa considerare come un vero e proprio simbolo dello stile italiano, ancora oggi?

Il Volume II della mia Collana Itinerari emozionali negli Archivi e nella Cultura, pubblicata dalla Casa editrice universitaria QuiEdit di Verona, riprende la ricerca che intrapresi e sviluppai per l’intervento al Convegno pescarese tenuto all’Aurum, l’8 luglio 2011, a corollario della Mostra, e intitolato per l’appunto: Gabriele d’Annunzio padre dello stile italiano.

Il Presidente del Vittoriale, il Professore Giordano Bruno Guerri, nella prefazione al Quaderno pubblicato con gli Atti del Convegno, esordisce: «Le espressioni dannunziane “Il superfluo m’è necessario come il respiro” e “Io sono un animale di lusso” ben rappresentano il rapporto di Gabriele d’Annunzio con la moda. Dietro l’apparente leggerezza del tema si celano invece elementi sociologici importanti: d’Annunzio ha saputo, infatti, diffondere nella società del tempo – soprattutto attraverso le sue Cronache mondane – attitudini, vezzi, mode appunto che hanno influenzato i costumi otto-novecenteschi.».

Nel mio libro faccio notare che il «non» essere di d’Annunzio un «letterato dello stampo antico in papalina e pantofole» si rispecchiava, in altro contesto, anche nella vita quotidiana, perfino nei momenti privati, in casa. Le sue vesti, gli accessori erano da lui personalmente selezionati, ricercati nelle fogge e nei materiali.

Del resto, egli sempre mise in pratica il convincimento radicato che anche la cura della persona connotasse la statura morale e sociale. Fin da giovane praticò molto Sport e ciò gli diede un fisico tonico ed asciutto, che conservò sino al raggiungimento della tarda età e che gli permetteva d’indossare elegantemente i capi esclusivi.

Egli riteneva, contrariamente alla teoria in voga oggidì, che “l’abito fa il monaco”: ogni circostanza, ogni incontro, a seconda della situazione, esigeva un’accurata selezione dell’abbigliamento, una dignitosa presentazione, anche per rispetto del prossimo! Sarebbe confortante che siffatto convincimento improntasse anche l’attitudine odierna pervasa, ahimè, non di rado, da una certa sciatteria e da un’assurda ostentazione pauperistica che nulla ha a che vedere con i concetti profondi e morali, e forse si riduce, al contrario, ad una ipocrita manifestazione estetica oppure a dettami modaioli effimeri. Si può essere rispettosi del decoro anche senza ostentare lussi ridondanti!

F. Rochard nella sua pubblicazione Gabriel Nuncius Vestiarius Fecit annota un parere del Vate: «Un abito – scrive – può essere fatto d’una stoffa a tre lire il metro, li accessorii dell’abito possono costare appena trenta o quaranta lire; ma il ‘cachet’, il vero ‘chic’, il valore vero e alto dell’abito viene dal sarto; viene, diremo così, dalla firma dell’autore.».

E Gabriele precorre i tempi, come sempre! Addirittura commissiona la tessitura di un’etichetta ‘personalizzata’ – Gabriel Nuncius Vestiarius Fecit – che fa cucire in taluni capi d’abbigliamento. Perfino disegna “a mano volante” i foulards che dona alle amate; cura i dettagli dei modelli e degli accostamenti coloristici – suggerendoli anche a Biki, sarta resa celeberrima da lui – per la confezione delle sottovesti, delle camicie da notte, dei négligé che egli ordinava appositamente per le ‘prescelte’ frequentatrici del suo talamo.

Graziella Butazzi – nel Catalogo della Mostra del Costume dell’epoca dannunziana. 16 luglio – 15 ottobre 1981 – afferma che «L’estrema funzionalità» del «sofisticato Guardaroba dannunziano» proviene dalla molto limitata gamma dei bellissimi materiali selezionati personalmente dal Vate «la lana per gli abiti e la seta per la biancheria.».

Era lui che influiva sullo stile italiano ed ai suoi tempi fece di sé un’icona dell’eleganza, ammirata ancora oggi: sarebbe un autentico influencer! Fra l’altro, considerata la sua sete di novità, non avrebbe esitato – tutt’altro – a fruire dei mezzi moderni di comunicazione. La sua era un’eleganza raffinata, fatta di dettagli sofisticati, di stoffe particolari, di colori abbinati con sobrietà, e pure di tessuti preziosi. Si vedano, per esempio, la splendida vestaglia da camera in broccato di seta color lilla, della Manifattura Lisio, con riprodotte delle pigne in fili d’oro e argento, ed un’altra confezionata con damasco orientaleggiante.

Mutuati gli stili dalla sartoria maschile inglese e francese, che allora imperavano, apportando variazioni di suo gusto, il Vate ebbe l’intuizione di commissionare i capi d’abbigliamento alle sartorie italiane, creandone la fortuna: Belloni, Beretta, Lannutti, Morsiello, Calimani, Petroni, Prandoni, Tomasini, Zainaghi, Zecchi, Lisio, Fortuny. Ma si rivolgeva anche a sarti stranieri: Motsch e Laureau (cappelli), Tremlett (camicie, colletti, fazzoletti: non gradiva quelli ‘comuni’ di Schostal), ed il celebre Paul Poiret per gli abiti femminili. Sartoriali perfino le sue ‘Divise d’ordinanza’ che erano, invece, fuori ‘ordinanza’ a causa delle modifiche stilistiche da lui apportate. Bellissimi i completi da caccia che commissionava pure per i “grooms” (coloro che strigliano e accudiscono i cavalli).

Anche le calzature (presenti in grande quantità – circa 300 paia – ed esposte nel D’Annunzio segreto, mostra permanente – voluta dal Presidente Guerri – e ubicata sotto il Parlaggio, l’anfiteatro del Vittoriale) erano ordinate, in particolare,

 alla celeberrima Ditta Montelatici e Volpi, in base alle singole occasioni: babbucce da casa, scarpe da passeggio e militari, stivaletti, stivali da equitazione, calzature di vernice nera con fiocco di cannettè per le serate eleganti.

Nel mio Volume II sono raccolte le trascrizioni delle fatture e degli ordinativi effettuati ai vari fornitori. Proprio l’idea che ebbi di confrontare tali note con i vestiti presenti nel Guardaroba dannunziano “magnificissimo” – grazie al permesso concessomi dal Professore Giordano Bruno Guerri di poterli analizzare personalmente per la ricerca, con l’aiuto della responsabile, la Signora Franca Peluchetti – mi ha fatto ‘scoprire’ i fornitori, i prezzi, le date degli ordini, i dettagli dei vari capi e mi ha dato anche l’opportunità di attribuire agli abiti un valore prima sconosciuto.

Ho sempre suggerito agli studenti un’iniziativa interessante: utilizzando sia le mie ricerche che quelle di altri studiosi, si potrebbero quantificare i totali importi che il Poeta spendeva per ‘vestire’ sé stesso ed il proprio habitat.

Non dimentichiamo che creò perfino un profumo – l’Aqua Nuntia – oggi riprodotto, su concessione del Vittoriale, dalle veneziane Mavive e The Merchant of Venice (della famiglia Vidal), assieme ad altre essenze che si rifanno ai richiami sensoriali ispirati dagli scritti dannunziani.

Nulla, dunque, di più attuale!

L’importanza del vestiario (e dell’habitat) nei romanzi di stampo decadentista è imprescindibile. Come si traduce l’amore di d’Annunzio per il bello, fra le pagine de Il Piacere? In quali passaggi possiamo, a suo parere, capire quanto ‘il vivere inimitabile’ del Poeta sia ‘portato in scena’ da Andrea Sperelli?

Per fornire una risposta esaustiva a questa domanda servirebbe un’esegesi puntuale del testo. Nel romanzo Il Piacere – pubblicato da Treves nel 1889 – si è soliti cogliere i riferimenti che collegano il protagonista, il Conte Andrea Sperelli Fieschi d’Ugenta, esteta decadente, all’autore medesimo.

Senza approfondire – per ovvie ragioni di opportunità dettate dall’intervista – rammento uno dei concetti ‘filosofici’ più significativi – espresso dal padre di Andrea che intende dare insegnamenti al figlio – che è quello dannunziano: «Bisogna fare la propria vita, come si fa un’opera d’arte. Bisogna che la vita d’un uomo d’intelletto sia opera di lui. La superiorità vera è tutta qui.».

E poi: «Bisogna conservare ad ogni costo intiera la libertà, fin nell’ebrezza. La regola dell’uomo d’intelletto, eccola: Habere, non haberi [Possedere, non essere posseduti]».

Nessuno meglio di Gabriele riuscì in questo intento!

Andrea, di contro, aveva una scarsa forza di volontà e si lasciò travolgere, non riuscì a dominare sé stesso.

Ma scendendo al dettaglio dell’habitat e dei gusti estetici che connotano entrambi – Andrea, alias Gabriele – possiamo facilmente notare, durante la visita del Vittoriale, in particolare della Prioria – dove risiedette sino alla morte il Vate – la medesima atmosfera dell’abitazione romana di Sperelli. Vi è lo stesso gusto per i dettagli, la corresponsione tra i sensi, i sentimenti e gli oggetti, ‘muti’ testimoni dei suoi corteggiamenti, delle conquiste e delle prodezze erotiche. D’Annunzio sosteneva – in vari scritti – che perfino i cuscini, mollemente sciorinati sui numerosi divani ed ingegnosamente intrisi di profumi inebrianti per ‘stordire’ le prede convocate nel “covo della belva”, quasi ‘partecipavano’, come esseri animati, alla vita segreta delle sue stanze, perennemente ombreggiate a causa della fotofobia che lo aveva colpito. [Ciò a seguito dell’incidente aereo avvenuto il 16 gennaio 1916 nella Laguna di Grado durante un atterraggio d’emergenza (era rimasto cieco in un occhio e per questo si autodefinì l’Orbo veggente)].

Poiché nulla è più esaustivo delle descrizioni di d’Annunzio medesimo, che rischierei di ‘deformare’ con le mie parole, cito dei brani che rispondono ad entrambe le Sue domande, sull’habitat e sul vestiario (come detto, quello di Gabriele è stato da me dettagliatamente esaminato nel Volume II della Collana pubblicata da QuiEdit).

Già nelle prime pagine vi è una descrizione particolareggiata che ci fa capire l’atmosfera dell’abitazione del Conte: «Andrea Sperelli aspettava nelle sue stanze un’amante. Tutte le cose a torno rivelavano infatti una special cura d’amore. Il legno di ginepro ardeva nel caminetto e la piccola tavola del tè era pronta, con tazze e sottocoppe in maiolica di Castel Durante ornate d’istoriette mitologiche da Luzio Dolci, antiche forme d’inimitabile grazia, ove sotto le figure erano scritti in carattere corsivo a zàffara nera esametri d’Ovidio. La luce entrava temperata dalle tende di broccatello rosso a melagrane d’argento riccio, a foglie e a motti. Come il sole meridiano feriva i vetri, la trama fiorita delle tendine di pizzo si disegnava sul tappeto.». [p. 5, ed. Oscar Mondadori 2009].

E poi: «Andrea vide nell’aspetto delle cose intorno riflessa l’ansietà sua e come il suo desiderio si sperdeva inutilmente nell’attesa e i suoi nervi s’indebolivano, così parve a lui che l’essenza direi quasi erotica delle cose anche vaporasse e si dissipasse inutilmente. Tutti quegli oggetti, in mezzo ai quali egli aveva tante volte amato e goduto e sofferto, avevano per lui acquistato qualche cosa della sua sensibilità. Non soltanto erano testimoni dei suoi amori, dei suoi piaceri, delle sue tristezze, ma eran partecipi. Nella sua memoria, ciascuna forma, ciascun colore armonizzava con una imagine (sic) muliebre, era una nota in un accordo di bellezza, era un elemento in una estasi di passione. Per la natura del suo gusto, egli ricercava negli amori un gaudio molteplice: il complicato diletto di tutti i sensi, l’alta commozione intellettuale, gli abbandoni del sentimento, gli impeti della brutalità. E poiché egli ricercava con arte, come un estetico, traeva naturalmente dal mondo delle cose molta parte della sua ebrezza. Questo delicato istrione non comprendeva la commedia dell’amore senza gli scenari. Perciò la sua casa era un perfettissimo teatro; ed egli era un abilissimo apparecchiatore.» [pp.16-17 ed. Oscar Mondadori 2009].

Più avanti, Andrea deve recarsi a casa Doria, invitato [p.73, ed. Oscar Mondadori 2009]. Ecco i preparativi: «Egli andò a vestirsi, nella camera ottagonale ch’era, in verità, il più elegante e comodo spogliatoio desiderabile per un giovine signore moderno. Vestendosi, aveva un’infinità di minute cure della sua persona. Sopra un gran sarcofago romano, trasformato con molto gusto in una tavola di abbigliamento, erano disposti in ordine i fazzoletti di batista, i guanti da ballo, i portafogli, gli astucci delle sigarette, le fiale delle essenze, e cinque o sei gardenie fresche in piccoli vasi di porcellana azzurra. Egli scelse un fazzoletto con le cifre bianche e ci versò due o tre gocce di ‘pao rosa’; non prese alcuna gardenia perché l’avrebbe trovata nella mensa di casa Doria; empì di sigarette russe un astuccio d’oro martellato, sottilissimo, ornato d’uno zaffiro su la sporgenza della molla, un po’ curvo per aderire alla coscia nella tasca de’ calzoni. Quindi uscì.».

Sembra di assistere alla vestizione di d’Annunzio – Ariel per le sue amanti – e, ai nostri tempi, potremmo ricordare la scena di American Gigolò nella quale Richard Gere seleziona accuratamente i capi di vestiario perfettamente suddivisi nel vasto armadio guardaroba!

Infine, cito un passo nel quale Andrea ripensa all’amata [p.72 del testo citato]: «Gli si presentarono allo spirito, subitamente, interi giorni e intere notti di voluttà. Si guardò intorno, nella stanza calda, profonda, segreta; e quel lusso intenso e raffinato, tutto fatto di arte, gli piacque, per ‘lei’. Quell’aria aspettava il ‘suo’ respiro; quei tappeti chiedevano d’esser premuti dal ‘suo’ piede; quei cuscini volevano l’impronta del ‘suo’ corpo. “Ella amerà la mia casa” pensò. “Amerà le cose ch’io amo”. Il pensiero gli dava un’indicibile dolcezza; e gli pareva che già un’anima nuova, consapevole dell’imminente gioia, palpitasse sotto gli alti soffitti.».

«Possiamo dedurre che Gabriele, lavorando nel totale isolamento, mai avrebbe potuto creare opere così raffinatamente artistiche se l’habitat in cui egli si faceva opera d’arte non fosse stato pienamente confacente al proprio gusto estetico.» [p. 13 del mio Volume].

Che altro aggiungere?

I suoi libri sono veri e propri omaggi a d’Annunzio ed ai suoi interlocutori. Che idea si è fatta dei rapporti che intercorsero tra il Vate e Giuseppe Lisio, per esempio?

Lei ha colto acutamente lo spirito che ha animato tutte le mie ‘pubblicazioni dannunziane’!

Man mano che potevo accedere al Vittoriale ed ai suoi arredi e tesori, contemporaneamente, avevo la possibilità di studiare e ricercare documenti originali nei 3 Archivi. Perciò venivo scoprendo personaggi di spicco e persone comuni, artisti ed artigiani eccelsi, amici, compagni d’arme, politici, ammiratori o semplici conoscenti, sarti e sarte – Biki, Madame Leonard – amiche ed amanti.

Come detto, la grande opportunità – rinnovata negli anni – inizialmente mi era stata gentilmente concessa dal Presidente della Fondazione de Il Vittoriale degli Italiani, il Professore Giordano Bruno Guerri, in occasione della preparazione del Convegno pescarese Gabriele d’Annunzio padre dello stile italiano, tenutosi nel 2011 all’Aurum, del quale ho accennato in precedenza.

E per collaborare alla preparazione di quel Convegno, sotto la guida del Professore Giordano Bruno Guerri, assieme agli altri studiosi ed ai funzionari della Direzione Generale degli Archivi di Stato, ho svolto la ricerca, dapprima sulle fatture delle sartorie a cui d’Annunzio si rivolgeva confrontandole con i capi realizzati (tuttora esistenti al Vittoriale e nella Casa Natale di Pescara), e poi sulle diverse committenze del Vittoriale.

Perciò hoconosciuto la Vice Presidente e consulente scientifica della Fondazione Arte della Seta Lisio, Direttrice della Rivista Jacquard, la Professoressa Paola Marabelli, e la Direttrice della Manifattura Arte della Seta Lisio, la Signora Carla Baldi, nonché i Signori Angelo e Massimo Frasca, contitolari del Negozio Lisio di Roma.

Eppoi, il Dottor Lorenzo e la Signora Benedetta Buccellati, eredi del grande orafo ed argentiere Mario; l’Avvocato Rodolfo Bevilacqua, contitolare delle prestigiose Manifatture Bevilacqua di Venezia; la Professoressa Rosa Barovier Mentasti, celebre studiosa e discendente dei Maestri vetrai Barovier; i dirigenti della nota Manifattura veneziana di Mariano Fortuny ed i funzionari della Casa Museo di Mariano Fortuny.

Subito hoinstaurato proficui rapporti con la Fondazione Arte della Seta Lisio, tramite la ProfessoressaPaola Marabelli, nota docente di Storia del tessuto.

Con lei e con la Professoressa Erika d’Arcangelo – docente di Cultura tessile e Tecnologia dei materiali – ho lavorato anche per stabilire il confronto tra le fatture, la corrispondenza intercorsa con il Vate e le stoffe fornite al Vittoriale, tuttecensite per la prima volta e che, insieme ad altri materiali raccolti, servivano per la redazione di un volume specifico.

Si è instaurata una proficua collaborazione anche con i gestori del Negozio Lisio di Via Sistina – i Signori Angelo e Massimo Frasca – che fornirono preziosi arredi e tessuti della loro collezione per allestire la Mostra esplicativa del Convegno stesso: le stoffe preziosissime che Giuseppe Lisio faceva tessere sui telai a mano da lui ricreati nella Manifattura di Firenze, tuttora operativa.

Fu la moglie di d’Annunzio – Maria Hardouin di Gallese, Principessa di Montenevoso – a ‘scoprire’ il Negozio Lisio in Via Sistina a Roma.

Giuseppe e Gabriele, da buoni conterranei, si capirono subito ed iniziarono una profonda amicizia che, per quel che atteneva soprattutto a Giuseppe, era costantemente connotata da grande rispetto e devozione, nonostante l’affabilità che gli riservava il Vate.

Lisio eseguiva, in esclusiva per lui, manufatti ‘speciali’, i cui motivi traevano spunto, come era sua caratteristica, da quelli raffigurati negli affreschi o nei dipinti antichi. Spesso li adeguava ai ‘suggerimenti’ del suo esigentissimo e fantasiosissimo committente-amico Gabriel.

Può esaustivamente esplicare siffatto rapporto ‘speciale’, basato sulla stima ed ammirazione reciproche, una lettera autografa del Vate scritta a Lisio, gentilmente concessami per la mia monografia – Vol. III della Collana, pag. 83 – dalla Fondazione Arte della Seta Lisio:

«Mio caro Peppino, ti avevo scritto poche parole, sapendoti prossimo; ed ecco ricevo il tuo dono. Non puoi imaginare (sic) la mia allegrezza infantile – e mistica – nell’aver tra le mani le meravigliose cartelle.

Le avevo desiderate, le desideravo, per i manoscritti dei miei Tre romanzi di carne senza carne. E il mio desiderio è giunto alla profonda amicizia! Per ciò alla mia allegrezza si aggiunge qualcosa di mistico, come mi accade dinanzi alle mie divinazioni spiritali e alle mie operazioni magiche.

Ero molto triste; ed ecco sono lieto. Bisogna che la mia prosa eguagli lo splendore delle tue stoffe tratte dai secoli e fatte più belle.

Ti abbraccio. Gabriele d’Annunzio

Da Roccamontepiano, 27 agosto 1931».

Che d’Annunzio, celeberrimo scrittore e poeta, ambisse ad eguagliare la sua prosa allo «splendore delle» stoffe ‘lisiane’ «tratte dai secoli e fatte più belle» ci fa compiutamente percepire l’ammirazione profonda e reciproca che alimentava il loro rapporto amicale.

E Lisio, il “maestro dei licci”, in concorrenza virtuosa coll’amico Gabriele, il “maestro della parola”, donava, donava ed ancora donava: stoffe, cartellette, cuscini, drappi, copriletti…

Dunque, un’autentica e rara Amicizia!

Nel 2016, ha organizzato una mostra dedicata alla Collezione Orafa di Buccellati. Come si muoveva d’Annunzio nella scelta dei gioielli da donare e cosa ci dicono di lui queste preferenze?

Da sempre affascinata dai tesori rinvenuti nei sepolcri antichi, dai capolavori orafi ed argentieri esposti nei musei del mondo, non avrei potuto non ‘capire’, in perfetta sintonia, la Bellezza squisita dei gioielli della Storica Collezione di Federico Buccellati che include una rara raccolta di gioielli di Mario, orafo prediletto del Vate. Il suo stile si rifaceva, aggiornandolo, a quello dell’oreficeria antica, classica (i corredi funerari ritrovati nelle tombe e nelle necropoli) oppure a quello, per esempio, di Benvenuto Cellini, celeberrimo scultore, orafo, argentiere e scrittore, nato e morto a Firenze (1500-1571).

I capolavori di Buccellati adornarono le Regge ed i Palazzi governativi o nobiliari di tutto il mondo!

La mia idea originaria fu quella di richiamare al Vittoriale gli odierni titolari delle prestigiose Ditte che ‘fornivano’ i loro manufatti a d’Annunzio, allo scopo precipuo di ricostruire le paternità degli oggetti, tramite le matrici o i disegni in loro possesso. Perciò, mi recai a Roma per conoscere gli eredi di “Mastro Paragon Coppella”. Questo era l’appellativo dato dal Vate all’orafo Mario Buccellati, conosciuto da lui nel suo negozio di Milano [la “Coppella” è il crogiuolo nel quale l’orafo fonde i metalli preziosi].

Dopo quell’incontro fortuito nacque un’altra amicizia che si sviluppò, anch’essa, tramite un poderoso epistolario.

Quindi, ho concepito altre due iniziative.

La prima è stata fortunatamente realizzata grazie alla collaborazione con il Dottor Andrea Longinotti – P.R. e Business Development della Gioielleria ed Argenteria Federico Buccellati [Federico era uno dei figli di Mario] – e con l’approvazione e la disponibilità generosa dei Signori Lorenzo e Benedetta Buccellati e del Presidente del Vittoriale, il Professore Giordano Bruno Guerri: abbiamo scambiato in fotoriproduzione, tra i due rispettivi Archivi, l’intero carteggio – “in entrata” al Vittoriale (gli originali di Mario) e “in uscita” dall’Archivio storico della Collezione Orafa di Federico Buccellati (le lettere originali di Gabriele) -consentendo in tal guisa un’agevole consultazione agli studiosi.

Successivamente, con il consenso e la collaborazione della Ditta Buccellati, ho curato l’eccezionale Mostra de La Storica Collezione Orafa di Federico Buccellati “nella bella Verona”. Esplorando il mondo di Gabriele d’Annunzio, organizzata nella Sala della Gran Guardia di Verona, dal 4 al 16 febbraio del 2016. In quella circostanza, sono state presentate le mie pubblicazioni inerenti a d’Annunzio: il Volume primo – costituito da tre Tomi – e altri tre Volumi (quasi 2000 pagine totali), sponsorizzate dai Buccellati, da Mediolanum, da AGSM e AMIA, da MGR, da Scapin e con il Patrocinio culturale di 9 Enti.

In occasione dei sopralluoghi della Signora Benedetta Buccellati – creatrice dei gioielli odierni – nella Prioria, si è potuti risalire all’attribuzione certa dei manufatti: il celeberrimo Calamaio con il vassoio, scatole portagioie, porta sigarette e sigari, trousse, contenitori da toeletta, animali in argento, vassoi, ferma cravatte, spilloni, anelli, i “bracciali francescani”, i “talismani” (il gallo, “i tartarughini”), le collane “ombelicali”. Una delle quali addirittura infilata sullo stelo dell’abat – jour posizionata sul comodino del lato destro del talamo di Gabriele – nella Stanza della Leda – quasi fosse rimasta in attesa di essere donata ad una delle bellissime che lo frequentavano.

E già, il ‘nostro’ amante insaziabile, sempre impegnato nello studio curioso di quella Scienza che era per lui la donna, nella perenne ricerca di sconfiggere la “turpe vecchiezza” che, inesorabilmente, avanzava in quegli ultimi anni trascorsi nella sua Reggia, era solito DONARE, a piene mani, gioielli alle amate – pure alle “badesse di passaggio” come le definiva ironicamente – ma anche ad amiche ed amici, a commilitoni, a compaesani, ai visitatori, alle personalità.

E le collane da lui ‘inventate’, soprattutto nel nome, dette “ombelicali” perché, appunto, voleva che, scendendo nel solco intermedio dei seni, lambissero l’ombelico (come dettagliatamente descrive a Mario Buccellati) erano commissionate addirittura con precise indicazioni riguardanti le pietre da utilizzare per la loro creazione: dovevano essere ‘intonate’ o all’incarnato, o agli occhi, o alle vesti della prescelta; come pure gli orecchini in pendant!

Gli anelli, invece, solitamente, voleva che venissero realizzati unendo le pietre con i colori tipici dello stemma del Principe di Montenevoso (Gabriele) ed anche della Bandiera della Reggenza del Carnaro: gli zaffiri (blu) ed i rubini (rossi).

Le trousse rigide o le borsette realizzate in stoffe raffinate, con le chiusure in argento e pietre o perle, venivano ideate pensando agli abbinamenti ipotetici, come pure le cinture fatte di metalli nobili e gemme.

Per gli uomini, invece, ordinava copiose ‘messi’ di fermacravatte, oppure scatoline d’argento recanti ciascuna uno dei numerosi suoi Motti – o ‘imprese’ – rimasti celebri, fra tutti: “IO HO QVEL CHE HO DONATO” (riferito, peraltro, al Vittoriale stesso del quale ricorre quest’anno il centenario della Donazione agli Italiani).

Di questi ordinativi ‘stratosferici’ per quantità e prezzi, per speciale concessione del Presidente Guerri, che me le mostrò durante una nostra visita nella Prioria (erano in una cartella di cuoio sulla scrivania della Stanza del Monco), ho trascritto anche due fatture inedite del 1926 – del Negozio Buccellati di Milano – che ammontavano, una a £ 3930 ed una a £ 6150. Ma anche le lettere scambiate tra l’orafo ed il poeta descrivono commissioni ingentissime…

Come accadde con Lisio, pure con Mario il rapporto committente-artista si fece vieppiù confidenziale, ma sempre improntato al reciproco ossequio. Talvolta, il Vate – “donatore perpetuo” – si spingeva, nelle lettere nelle quali descriveva gli ‘ordinativi’, a battute ed indiscrezioni sulle sue avventure ed amicizie femminili. Per esempio, si veda la lettera a Mario nella quale ordinò tre gioie per la “bellississssima amica britanna” Antonia Addison (p. 114 del mio Volume I, Tomo III), splendida giovane danzatrice dall’incarnato color avorio, con gli occhi verdi “come le erbe acquatiche”, ed i capelli rossi!

Ma, seppur travolto dall’impeto, direi dall’autentica foga, degli ordinativi, come un fanciullo mai sazio di giocattoli, non perdeva il ‘controllo’ della contabilità.

Pare strano che un ‘accumulatore seriale’ di oggetti preziosi e non, che di certo spendeva più del dovuto e del posseduto – celeberrima la sua cronica penuria di liquidità, da lui stesso ribadita più volte, quasi fosse un ‘vanto’ – puntualizzasse, in una lettera datata 24 luglio 1923, indirizzata a Mario Buccellati e di proprietà della famiglia Buccellati (tratta dal mio Tomo I, Volume I, pag. 199) su queste annotazioni:

«Mio caro Mario, ho ricevuto il conto. Credo che ci sia qualche inesattezza. Per esempio, in un mio appunto su una tua lista, trovo accanto a una Collana di smeraldo 8500, a un Bracciale di brill.ti brasil 8300, e a una broche di smeraldi e brill. 8500, “Versate lire 15.000, per mezzo di T. Antongini [il Segretario del Vate], il 20 giugno 1922”. Verrò – credo – a Milano giovedì 26, per poche ore. Verrò a trovare il mio Orafo, per dargli alcune commissioni. Vorrei anche ordinare portasigarette (da regalo d’argento e d’oro con la riproduzione incisa dell’impresa [motto] che ti accludo. Mi adirai quando seppi, una sera tardi, che l’Orafo era salito all’eremo e che n’era ripartito senza avvertirmi! E dire che desidero aprire una piccola Bottega di Orafo al Vittoriale! Arrivederci.

Gabriele d’Annunzio.

Il Vittoriale, 24.VII. 1923».

Leggendo anche solo questa lettera capiamo lo spirito ‘acuto’ che contraddistingueva Gabriele, la sua attenzione maniacale, perfezionista, verso i dettagli sia artistici ed estetici che economici e pratici, sia che si trattasse di oggetti, che di esseri viventi! Nulla gli sfuggiva, nulla era lasciato al ‘caso’, tutto doveva corrispondere all’Armonia alla quale il suo spirito raffinato anelava.

Comunque, è stupefacente il fatto che, nonostante l’accenno alle spese ingenti che parrebbe avesse già saldato, Ariel, imperterrito, programmasse ulteriori “commissioni” in presenza e, addirittura, progettasse «una piccola bottega di Orafo al Vittoriale!».

E l’idea di Botteghe artigiane al Vittoriale ‘stuzzica’ da tempo l’intraprendenza, mai doma, del Presidente Guerri che sta cercando di completare o realizzare ogni ‘sogno’ dannunziano rimasto incompiuto. L’ultima sua ‘impresa’ recente è stata quella di porre in essere, con grande dispendio di energie e denaro, il rivestimento in marmo rosso di Verona di tutte le gradinate del Parlaggio, così come d’Annunzio aveva progettato, prima di morire, con il suo fidato ed instancabile Architetto Gian Carlo Maroni!

La vena creativa di Gabriele non è una pedante replica di canoni estetici, bensì è una inesauribile creazione modulata, oggi diremmo ‘personalizzata’, ante litteram, a seconda delle circostanze e delle esigenze del singolo momento, dello specifico destinatario del dono, uomo o donna che fosse.

Ad esempio, il Comandante, per il mitico campione automobilistico Tazio Nuvolari, ordinò a Mario la riproduzione miniaturizzata in oro di un tartarughino – prediletto “talismano” apotropaico – donato nel 1923 in occasione della visita di Tazio al Vittoriale, con l’arguta dedica: «All’uomo più veloce, l’animale più lento». Da allora, il pilota fece riprodurre l’effige della tartaruga sulle proprie magliette e sulla carta intestata, e pure sulla fusoliera del suo aereo, quale porta fortuna.

Ricordiamo, per curiosità, che nella Prioria il Vate fece realizzare una nuova sala da pranzo – quella originaria fu trasformata nell’attuale Sala delle Reliquie – e la chiamò “Sala della Cheli”. Infatti, a capotavola, pose una scultura gigante, commissionata a Renato Brozzi, che riproduceva la tartaruga – con il carapace autentico – donatagli dalla Contessa Casati, sua grande amica. Poiché, secondo la ‘leggenda’ dannunziana, essa era morta a causa di un’indigestione di tuberose coltivate nei giardini del Vittoriale – non poteva essere diversamente! – essa costituiva, con la sua muta presenza scultorea, un loquace monito ai commensali affinché si mantenessero morigerati durante i banchetti.

Questa era l’arguta – e talvolta salace – ironia del ‘nostro’ d’Annunzio!

Grazie alla profusione di cotanti doni elargiti ad una moltitudine di persone con munifica prodigalità, in fondo, il Principe di Montenevoso diffuse ovunque il suo gusto estetico anche nell’ambito della gioielleria che, temporibus illis, ha ‘contagiato’ anche me!

Posso chiederle a quali progetti futuri sta lavorando? Riguarderanno, ancora, d’Annunzio?

Come si evince dal sottotitolo delle mie pubblicazioni QuiEditItinerari emozionali negli Archivi e nella Cultura – sono da sempre attratta emozionalmente dalla curiosità e dalla varietà di spunti e tematiche che di continuo si offrono alla mia osservazione. Quando affronto un argomento che m’ispira interesse cerco, nei miei limiti, di approfondirlo sviscerandone anche aspetti inusuali.

Poiché ho svolto i primi studi universitari sulle antichità e sull’ archeologia, ho sviluppato un certo sesto senso per le ‘indagini’, in questo caso archivistiche, che vieppiù mi hanno appassionata.

L’intento precipuo è, contestualmente, quello di ‘raccontare’ le mie ‘avventure’ negli Archivi – che considero, come i siti archeologici, fondamentali fonti di notizie per conoscere il nostro passato, remoto o recente, utili a comprendere il presente e ad orientarsi per il futuro – in modo semplice ed esemplificativo, nella speranza di suscitare la medesima ‘passione’ nei miei interlocutori, ascoltatori o lettori.

Il ‘piacere’ culturale, per me, sta nello studio delle fonti, nella ricerca degli indizi e nelle conseguenti ‘scoperte’. Non nego l’esaltazione fanciullesca che mi prende quando, ‘fiutando’ una traccia, trovo un documento inedito. Perfino il Professor Guerri, nello Scrittoio del Monco, è stato ad osservare divertito l’espressione raggiante del mio viso quando mi ha mostrato le due fatture inedite di Mario Buccellati, trovate invece da lui stesso: ci abbiamo scherzato sopra, ma studiare divertendosi è davvero una grande fortuna!

Ho in progetto di riprendere nell’Archivio di Stato di Verona alcune ricerche effettuate a suo tempo in occasione della mia prima pubblicazione attinente a Villa Piatti – antica magione ubicata nel territorio di Pigozzo Veronese, facente parte delle possessioni dell’Abbazia di San Zeno Maggiore e dei Canossa – e poi di recuperare un Progetto ancora inerente alla personalità complessa e sfaccettata di Gabriele d’Annunzio – programmato per il 2020, ma forzosamente sospeso per causa del COVID19 – sviluppabile tramite conferenze ed eventi da tenere a Verona.

In fieri altre iniziative dannunziane per il comparto scuola a livello regionale e in collaborazione con il Vittoriale, nell’intento, condiviso con i docenti ed i funzionari del MIUR, di fornire agli studenti documenti inediti o poco noti che aiutino a capire meglio la complessa personalità del Vate, tanto ostracizzato anche nel recente passato a causa di preconcetti e luoghi comuni confutabili esclusivamente tramite un approccio oggettivo alle testimonianze archivistiche.

Cerco, nel mio piccolo, di diffondere gli aspetti meno noti della variegata personalità del Vate insistendo, altresì, sulla necessaria ed imprescindibile conoscenza dei documenti archivistici dannunziani e del Vittoriale medesimo che, a detta del suo stesso artifex – il Principe di Montenevoso -, è l’ultimo e più completo suo “Libro”… “di pietre vive”!

Emanuela Borgatta Dunnett