
Come un Incantesimo – Kappa Vu Edizioni
Intervista a Carla Sanguineti
Il legame che unì Mary e Percy Shelley fu forte tanto quanto quello che li legò all’Italia.
Tuttavia, pochi libri – fino ad ora – erano riusciti a carpire l’essenza del fascino senza tempo dei due scrittori britannici e a svelare l’indissolubilità dell’amore per un Paese destinato a diventare protagonista dei loro versi, della loro prosa e delle loro stesse vite.
Per questo motivo, ‘Come un incantesimo. Mary e Percy Shelley nel golfo dei poeti’ è un gioiello raro, di cui abbiamo avuto il piacere di discorrere con l’autrice: Carla Sanguineti.
Intere generazioni di lettori si sono appassionate a Percy e Mary Shelley. Com’è stato ripercorrere le tappe più importanti della loro biografia e quali pensa siano i motivi della loro eterna contemporaneità?
Penso che la loro eterna contemporaneità derivi dalla fama del loro amore assoluto, frutto di affinità sentimentali e sensuali ma anche artistiche, letterarie, politiche, più forte di convenienze sociali, opportunità e proibizioni, intriso di ideali e sfide, fino alla morte. Sembra retorica, ma non lo è affatto: usque ad mortem et ultra, come recitava una antica formula romana, e questo è valso per entrambi. Per lui e per lei. Per me entrare nel loro mondo è stato difficile e faticoso: lo ho fatto su richiesta delle associazioni femminili della Spezia che, nel 1997, si sono riunite insieme ai Comuni di Lerici e Viareggio e alla Provincia per creare un organismo unico nel suo genere, di commistione tra pubblico e privato, l’associazione “Amiche e Amici di Mary Shelley”, e hanno voluto che io me ne occupassi. Suo scopo era far conoscere Mary Shelley allora, nel 1997, ancora sconosciuta benché autrice del famosissimo Frankenstein che appariva come un mito nato dal nulla. Hanno scelto me perché un mio libretto scritto su Mary e recensito sul Times di Londra mi aveva reso (immeritatamente) famosa nella zona. Ho quindi lavorato intensamente con istituzioni universitarie e culturali di ogni genere, all’interno degli Women Studies, e devo riconoscere, con molto orgoglio, che abbiamo raggiunto l’obiettivo: nel 2017, bicentenario della composizione di Frankenstein, Mary Shelley era ormai universalmente conosciuta, come ha dimostrato il profluvio di pubblicazioni, film, trasmissioni tv e radio, persino fumetti, su di lei.
Ripercorrere le tappe della loro biografia mi è stato indispensabile per tentare di avvicinarmi a due personalità così grandi e complesse: e via via che procedevo mi rendevo sempre più conto della incredibile affinità tra la loro e la mia generazione, per esempio, nonostante le diverse circostanze storiche e i lontanissimi stili e modi di vita. La mia generazione, quella del dopoguerra e del sogno del ’68, e la loro, quella del dopo rivoluzione francese e dei sogni del ’48 (1848 ovviamente), hanno avuto in comune simili ideali umanitari e lotte per la conquista dei diritti civili: noi abbiamo operato sulla falsariga di quelle iniziate allora, alla fine del ‘700. Il riconoscimento dei diritti delle donne degli anni ‘60/’70 del secolo scorso, ha realizzato il sogno di Mary Wollstonecraft e di Olympe de Gouges, delle grandi libertarie e femministe di allora. Per Mary e Percy e per tutti loro la Rivoluzione francese aveva incarnato sogni millenari di giustizia, uguaglianza e fraternità; la sconfitta di Napoleone e il trionfo della Santa Alleanza e dei sovrani spodestati d’Europa che tornavano sui loro troni apparivano loro come il trionfo del male. Giudicavano il loro tempo, scriveva Shelley, the age of despair, l’epoca della disperazione. Shelley, giovane poeta rivoluzionario, cacciato dall’Università e dalla sua stessa famiglia, soffriva di ogni ingiustizia e miseria altrui come proprie e si prodigava in ogni modo, con gli scritti e i mezzi finanziari di cui disponeva, per alleviarle; aveva considerato suoi genitori morali e intellettuali il padre e la madre di Mary, il filosofo William Godwin, anarchico e pacifista, generoso maestro, implicato come filo-giacobino nei processi del 1794 contro i nemici della patria ( poi assolto, ma rovinato nella reputazione per sempre) e Mary Wollstonecraft, scrittrice e giornalista, che si era recata a Parigi per seguire in prima persona la rivoluzione francese (salvo rimanere poi sconvolta dal Terrore). In Mary aveva trovato se stesso, i suoi sogni, i suoi ideali. Mary, a sua volta, i suoi due cognomi, Wollstonecraft e Godwin, se li era trovati addosso come una condanna nell’Inghilterra che era stata in guerra contro la Francia. Eppure li aveva assunti come una bandiera. Sua madre, che era morta di parto mettendola al mondo, sarebbe stata per lei un modello; per tutta la vita avrebbe studiato le sue opere, recandosi fin da ragazzina a leggerle sulla sua tomba, e avrebbe poi cercato, nella sua produzione letteraria, di riprenderne soggetti e temi: per il padre avrebbe nutrito un affetto forte più di qualunque altro.
Il loro amore era apparso a entrambi come frutto inevitabile della loro ricerca etica e intellettuale. Ma Percy, quando conobbe, ventunenne, la quindicenne Mary e se ne innamorò subito fulmineamente, era già sposato, con una bimba e in attesa di un secondo figlio. E riuscì a convincerla a accettare il suo amore (formando una famiglia allargata, si direbbe oggi) seducendola con ardore sulla tomba di Mary Wollstonecraft in Saint Pancras! Non intendeva certo lasciare moglie e figli, ma convivere felicemente insieme. Tutto gli appariva semplice e chiaro, e il suo potere di seduzione su Mary era tale da convincerla sempre della bontà delle sue tesi sull’amore libero. Persi nei loro sogni di palingenesi universale i due non furono in grado mai di valutare fino in fondo le conseguenze delle loro azioni, spesso tragiche e non soltanto per loro. Di fronte al veto di Godwin che li cacciava e all’indignazione di tutta Londra che giustamente insorgeva a difendere la moglie di Shelley, Harriet Westbrook (che si sarebbe poi suicidata), fuggirono nel 1814 dall’Inghilterra ratificando il loro destino di paria. Per otto anni viaggiarono attraverso l’Italia, cercando e incontrando altri esuli come loro, tra cui, al primo posto, lord Byron, al quale li legava quasi un vincolo di sangue, più ancora che un’amicizia, avendo avuto il lord una figlia, Allegra, da Claire Clairmont, sorellastra di Mary. Otto anni tumultuosi tra estasi di gioia, passione per la poesia e per la scrittura, per la rivoluzione, angosce e lutti, morte di due figli bambini, fino alla tempesta repentina, da entrambi già presentita e temuta come ineluttabile, che, in una splendida giornata di luglio del 1822, travolse Shelley in un naufragio di fronte a Viareggio e spezzò la loro unione. Lui aveva 29 anni e lei 24.
Mary si trovò così sola, con Percy Florence, l’unico figlio superstite, priva di mezzi finanziari e costretta a rientrare in una Londra che non le aveva perdonato la fuga con Shelley. La aspettava una lunga segregazione nella solitudine e nell’emarginazione: chiusa in una stanza per ben 30 anni, sarebbe vissuta di scrittura, l’unico suo mezzo di sostentamento ma anche suo universo di vita, pieno di ricordi laceranti e di avventure di conoscenza, lungo viaggio di meditazione e di purificazione, cammino lento dalla disperazione alla gioia e anche all’estasi. Continuò sempre a credere negli ideali che l’avevano unita a Shelley e per i quali entrambi non si erano risparmiati in nessun modo, tanto che Shelley era morto proprio mentre lavorava, con Byron, Mary e l’amico editore Leight Hunt, alla creazione di una rivista, “The Liberal”, che avrebbe dovuto sostenere gli ideali liberali e rivoluzionari in Europa contro la Santa Alleanza. Sostenne anche economicamente, come poté, i carbonari italiani esuli a Londra e continuò a lottare per i diritti delle donne. Byron morì in Grecia dove si era recato a combattere per la libertà di quel popolo contro i Turchi. Ecco, nella loro grande generosità e follia ho riconosciuto alcune delle persone della mia generazione che più ho amato e ammirato: personalità eroiche e forti, in lotta contro la violenza e la guerra, pronte a pagare di persona, spesso sconfitte ma mai arrese, cui dobbiamo quanto di buono, tra luci e ombre, il nostro tempo ha saputo costruire e che sembrano portare avanti un percorso che è passato anche attraverso Mary e Percy e che spero proceda nel futuro.
Come si è mossa, dal punto di vista della ricerca di documentazione storica, per ricostruire i momenti salienti della loro vita?
Innanzitutto leggendo le loro opere e contemporaneamente i diari e le lettere, anche dei loro amici più stretti, che sono fonti inesauribili di informazioni sulla loro vita. E poi, ancora, le biografie che sono state scritte su di loro, dai contemporanei che li avevano amati o detestati, e dai posteri. e sono davvero tante. Insomma, un mare di letture, una traversata che sembra non poter finire mai. Ho cercato anche reperti della loro vita, a Lerici dove hanno abitato, a Viareggio dove si conservano oggetti trovati sull’Ariel, la barca naufragata di Shelley, a Roma, dove la Keats Shelley House conserva manoscritti, lettere autografe, ritratti, e persino resti ossei del corpo di Shelley che fu cremato sulla spiaggia di Viareggio a causa delle allora inflessibili leggi contro le epidemie.
Perché ha scelto il Golfo dei Poeti come luogo chiave del suo romanzo?
Perché vi abitarono insieme per quattro mesi, gli ultimi della loro vita in comune, dall’aprile al luglio 1822, quattro mesi soltanto, ma così intensi e decisivi nella loro vita e nella storia del borgo, da restare per sempre legati alla memoria dei luoghi e all’immaginazione degli innumerevoli visitatori, da Henry James, Lawrence, Virginia Wolf a, D’Annunzio, per ricordarne alcuni tra i più celebri, che da allora vengono a cercare la bianca casa che li aveva ospitati.
Una bianca casa a ridosso della scogliera, allora addirittura sulla battigia, la Villa o Casa Magni, nella baia di San Terenzo, a pochi chilometri da Lerici, all’interno del golfo denominato da Sem Benelli “Golfo dei poeti” proprio in omaggio a Mary e Percy che vi erano arrivati per primi.
Era stato Shelley a innamorarsene, quando, un giorno l’aveva vista dal mare, un parallelepipedo bianco con quattro arcate, che spiccava con il suo biancore anche da lontano tra lecci e pini, mentre Mary, in grave depressione per la morte dei figli piccoli, incinta di nuovo e in procinto di un terribile e quasi mortale aborto, non amava lo stordimento di luci e colori indotto dal mare che sembrava entrare in casa nelle tempeste. Una sorta di incantesimo ci circondava avrebbe scritto anni dopo: le sembrava che fossero tutti prigionieri del destino tragico che si sarebbe compiuto lì, nel Golfo, la cui bellezza mi faceva tremare e piangere.
Se dovesse delineare un itinerario dedicato ad un viaggiatore curioso che voglia riscoprire i loro luoghi, quali mete consiglierebbe?
Gli Shelley hanno attraversato tutta l’Italia, dalle Alpi fino a Napoli e ne hanno lasciato descrizioni straordinarie nelle lettere, nei diari e nelle loro opere. Hanno amato tutto del Bel Paese, e i ricordi del loro passaggio sono quasi sempre menzionati. Ma consiglierei, come nodi più importanti, anche perché ispiratori delle loro opere, oltre a Roma e al Golfo dei Poeti cui ho già accennato, Pisa, dove risiedettero più di un anno prima di Lerici e dove Mary scrisse Valperga di cui dirò poi e infine Viareggio dove i cultori di Percy, possono trovare il busto marmoreo che lo ritrae, e che fu tanto amato da essere oggetto, più che di pellegrinaggi, di vere e proprie scorribande di operai e cavatori inseguiti dalla polizia durante le lotte per il pane alla fine dell’ottocento e nei primi decenni del novecento, e oggi da turbe di artisti che vi si radunano intorno per eseguire performances, letture, spettacoli.
Posso chiederle a quali progetti futuri sta lavorando?
A molti progetti sia artistici che letterari. Mi piace sempre riprendere e leggere in un modo diverso le figure del mito greco, come hanno fatto anche Mary che Percy e poi Crista Wolf e gli Women Studies: I miti sono le nostre radici spirituali e ogni tempo li vive in modo diverso. In questo momento sto elaborando uno scritto su una eroina del teatro greco, Clitemnestra, l’imperdonabile, la maledetta da una tradizione che continua ancora a perpetuarsi e che invece, per me, è la più grande portatrice di un pensiero della differenza rispetto alla civiltà della guerra, condannata alla sconfitta ma sempre viva invece in tante/i di noi.
E l’altro progetto consiste nella divulgazione, il più capillare possibile del romanzo Valperga o vita e avventure di Castruccio principe di Lucca di Mary Shelley che nel 2007 la mia associazione ha contribuito a far tradurre in italiano (molte delle opere di Mary sono non tradotte e sconosciute in Italia) e viene ora ristampato da Mondadori, e che secondo me si colloca appunto in questo filone del pensiero della differenza. Romanzo storico lungo e complesso, per me il suo capolavoro, costruito sulle fonti storiche che parlano di Castruccio degli Antelminelli (1301-1328). L’abbinamento/contrapposizione del titolo è infatti tra un luogo di pace, sognato, sostenuto e difeso dalle protagoniste femminili e il mondo atorico della distruzione determinato dalle guerre tra stati e signorie impersonato da Castruccio. Mi aspetta un lungo lavoro.
Emanuela Borgatta Dunnett