June’s Code

Acqua, parole, sangue, umori. Tutto scorre nella Parigi degli anni ’30, dove incontrarsi è facile quanto perdersi e non si contano i tentativi di dimenticarla. Dimenticare la sua pelle, rievocandola, rivoltandola costantemente per esorcizzarla, in cinquant’anni di scritti.

June, Mara, Mona, Juliet. Nomi diversi per la stessa ombra, destinata ad oscurare/ispirare l’intera letteratura di Henry Miller ed Anais Nin. Inutile sforzo creativo; l’istantanea scattatale a vent’anni da un fotografo sconosciuto evoca più di un qualsiasi enunciato, è una scatola magica: ad ogni sguardo concede una verità diversa. Qual è quella giusta? Come trovarla in mezzo a zero indicazioni biografiche, a frasi lasciate a metà, a menzogne, ad identità cambiate?

La seconda moglie dello scrittore newyorkese racchiude perfettamente le infinite varietà decantate da Shakepeare nella descrizione della sua Cleopatra: ammaliatrice ammaliata dai due talenti letterari fino all’autodistruzione; ma con qualcosa che la fa splendere più di loro e la rende vero polo d’attrazione del nostro viaggio che ci porta fino ad un codice da decifrare.

Idee, sensazioni, emozioni. Ovviamente ne ha vissute ma pochi le ricordano e non sono che frammenti, si preferisce focalizzare l’attenzione su quegli occhi impegnati in una ricerca che si riflette su ogni gesto e movimento. Stupisce soprattutto la carnagione, dissimile da qualunque altra: pallida, perlacea, dominata da una costante e palpabile febbre.

L’epidermide di June (o Mara o quel che volete) ingloba un universo che né “La Crocifissione in Rosa” ed i “Tropici” di Miller né i “Diari” di Anais Nin sono riusciti a restituirci appieno. E’ molto più di un seducente involucro, è la base del ménage à trois destinato ad annientarla, a farle pagare il prezzo della solitudine lasciando la gloria ai due scrittori.

Circa tre lustri dopo la sua morte, agli inizi degli anni ‘90, Jeanette Winterson pubblica “Scritto sul Corpo”. Non potremmo essere più distanti dalla Parigi del ’30 ma il libro contiene un’ipotesi “epidermica” fin troppo facilmente collegabile: la presenza di un codice immaginario disseminato fra i pori e dato dalla somma di tutte le esperienze vissute, che solo chi ci ama sarà in grado di decifrare.

Se, come pare, nessuno è mai riuscito ad amarla e a cogliere la sua reale essenza, allora il codice della misteriosa seconda moglie di Miller è ancora tutto da svelare. Il tatto non ci aiuterà ma possiamo servirci la vista, analizzando attentamente quella fotografia. Il suo codice parte da quegli occhi e termina su quella pelle.