La Casa di Claudine – Colette

Intervista a Paola Tonussi

@ De Piante Editore

Appena uscito in libreria per De Piante, La Casa di Claudine è un romanzo di Colette, per troppo tempo trascurato dall’editoria italiana. Pagine di travolgente bellezza lirica, scritte nel 1922 ed oggi tradotte e curate mirabilmente da Paola Tonussi; raffinata anglista ed amante della letteratura francese, la quale – nella nostra intervista – ci consente di comprendere appieno la posizione di quest’opera preziosa, all’interno della bibliografia di Colette.

Hai riportato alla luce un romanzo di Colette fino ad ora, ingiustamente, tralasciato dall’editoria italiana. Che ruolo pensi abbia all’interno della bibliografia dell’autrice?

La Casa di Claudine è uno snodo essenziale nel cammino letterario di Colette e nella sua vicenda biografica. E’ il romanzo che dà l’avvio a un mito: il mito della madre, di Sido.

Nume tutelare della “prima vita” di Colette, Sido illumina molti suoi libri ma a partire da questo romanzo la luce dilaga nella narrazione: Colette riporta in vita il proprio passato di bambina mettendolo in parallelo con il presente, la figura materna elevata a leggenda.

Personalità prepotente, affascinante, Sido domina la casa con la sua vitalità – “Guarda! Guarda!” incalza di continuo la figlia –, l’amore appassionato per animali, fiori e giardini, l’eccentricità – nutre lo stesso odio la malattia e gli ipocriti. Ma in lei vibra anche la compassione per gli sfortunati, e una profonda umanità semplice: Sido accoglie in casa le ragazze incinte che tutti, persino il curato, allontanano, si preoccupa di trovare la biancheria per il bambino nato in una casa povera, cura con amore indistinto i propri figli, la gatta di casa, i poveri, il prediletto cactus rosa.

Mette in mano alla figlia di otto, nove anni i romanzi di Balzac, Corneille, Zola. Le indica scelte di precoce libertà, il diritto di preservare e perseguire i propri talenti, di essere se stessa costi quel che costi. Colette la erigerà a modello di indipendenza.

La costruzione di Sido “mito letterario” non esclude nella figlia qualche contraddizione nella vita, ma tant’è: Colette è un gioioso intrico di contraddizioni – e proprio per questo di ricchezze. Tra l’altro, la madre le lasci in eredità anche il nome, in una sorta d’immagine duplicata di se stessa: Adèle Eugénie Sidonie Landois evolve in Gabrielle Sidonie Colette. Per la famiglia, è Gabri.

Tornando alla vicenda editoriale de La casa di Claudine, il libro è bellissimo ma in effetti finora negletto dalla nostra editoria: questa è la prima traduzione italiana. L’editore Cristina De Piante e il direttore della collana I Solidi Davide Brullo hanno accettato subito la mia proposta di pubblicarlo.

A voler azzardare un’ipotesi sul motivo dell’oblio, forse il successivo Sido, che parla ancora della madre e del padre Capitano, dei fratelli Achille, Juliette e Lèo è più compatto, più “centrato” e concentrato sulla stravagante famiglia Colette e ha messo in ombra questa Casa dalle porte aperte all’esterno – il romanzo di Colette in cui più hanno spazio figure e vita del villaggio di Saint-Sauveur… Ma, ripeto, è solo un’ipotesi.

Una concretezza è invece l’entusiasmo di Cristina De Piante, Davide Brullo e il mio. Pagina dopo pagina, la scrittura di Colette spalanca continui raggi di sole, doni di conchiglie affiorate insperabilmente dalla sabbia, gocce d’oro splendenti all’aria. Prodigi e bolle di sapone, incanto e poesia.

Claudine fu il primo, indimenticabile personaggio di Colette. Singolare la scelta di citarla nel titolo di un romanzo che non parla di lei. Perché rievocarla?

Sì la serie delle Claudine, con la ragazzina in grembiule da scolara e malizie di donna, dà a Colette la notorietà: Claudine è un vero e proprio “caso letterario”.

Giocando su ambiguità e “ritocchi” al “quaderno” della moglie Willy, noto giornalista e viveur, modifica e aggiusta le storie di Claudine e regala a Parigi un “tipo”, un personaggio su cui speculare e da imitare, a partire dai capelli audacemente tagliati a carré.

Willy ha fiuto, i romanzi hanno un successo strepitoso: storie ben congegnate, una protagonista attraente con un pizzico di mistero, i dialoghi svelti di Colette. La serie in libreria va a ruba, Willy si mostra a concerti e occasioni mondane con Colette e l’attrice Polaire – che si somigliano – vestite entrambe da Claudine. Claudine e la sua gemella scortate dall’autore dei romanzi: questo, in filigrana, il messaggio che lui intendeva trasmettere. Claudine, poi, diventa anche una vertiginosa promozione pubblicitaria, il primo vero caso del genere, perché sull’onda del successo riscosso dai libri si vendono profumi, oggetti, fotografie Claudine: i gadgets, si direbbe oggi, si moltiplicano.

Però Colette quella serie non la firma: solo dopo il divorzio e la causa intentata all’ex marito per i diritti d’autore, la creatrice di Claudine può apporre in copertina il proprio nome accanto a quello di Willy.

Quindi intitolare La casa di Claudine questo romanzo che rievoca l’infanzia e se stessa bambina – perché Colette è, un poco, anche Claudine –, Sido e il cerchio magico della casa natale significa rivendicare a sé quella creatura che le era stata sottratta. Un fiero gesto d’orgoglio autoriale.

Possiamo considerare ‘La Casa di Claudine’ come un’autobiografia o si tratta di qualcosa di completamente diverso?

Partirei dal primo punto, per esclusione: La casa di Claudine non è sicuramente un’autobiografia in senso stretto. Non ne ha né i margini né le ambizioni. D’altro canto, nemmeno si tratta di un romanzo secondo canoni tradizionali, anche se l’autrice lo ha definito così: “il mio romanzo più vero…”.

Un poco autobiografia, un poco romanzo, un poco serie di racconti, La casa di Claudine fonde le categorie narrative, scavalca ogni definizione: a Colette è familiare questo genere ibrido, rapsodico, dove far confluire ricordo e nostalgia del passato e momenti del presente, narrazioni in forma di novella e considerazioni personali.

Da un punto di vista narrativo è un libro modernissimo.

Più che in capitoli è costruito su bagliori e visioni, memorie e aperture verso un personaggio o un altro, personaggi che qui appartengono – come le è tipico –  anche all’amato mondo animale: per Colette non c’è differenza, la cagnolina Toutoque ha la stessa dignità letteraria dell’ex compagna di scuola, la bellissima Nana Bouilloux, del bizzarro Voussard o del curato del villaggio. O, sospettiamo, anche maggiore… Tutto ciò il lettore lo vede attraverso il prisma colorato della sua smagliante scrittura.

Nel romanzo di Colette passato e presente si fondono, perdendo i loro contorni. Come si differenzia la narrazione del libro, dal resto della sua bibliografia?

In realtà l’oscillazione tra presente e passato, l’alternanza tra episodi risospinti al presente dalla risacca della memoria e, viceversa, l’affondare le mani nelle onde dorate dell’infanzia, come Gabri bambina faceva con la terra o tra le piante per scoprire il tesoro di una coccinella, aspirare il profumo di un bocciolo nuovo, è tipica dell’andamento narrativo di Colette. Donna libera e scrittrice altrettanto libera.

Certo, accanto a romanzi dalla trama più lineare come Chéri o La gatta, Colette ha sempre mantenuto viva la consuetudine con una scrittura rapsodica, dove la trama c’è ma di volta in volta nel racconto prevale una figura – Sido, il fratello Achille, il Capitano–, un’immagine – la bellezza che scompare, l’eccentricità di qualcuno –, o ancora la personalità travolgente di una protagonista a quattro zampe – Toutoque –, tra i tanti amati animali.

Nei suoi mai cessati “dialoghi con gli animali”, Colette ci fa entrare nel regno della purezza e dell’impulso naturale, della sensazione che ha la meglio sul ragionamento, della bontà immediata che vince sul calcolo e la logica.

Nell’insieme, La casa di Claudine è uno degli anelli che formano la catena lucente di un’opera e di una vita straordinarie. 

Da tempo collabori assiduamente con De Piante Editori. Come scegliete i titoli di cui ti occupi? Ci sono progetti ai quali vorreste dedicarvi, in futuro?

Conoscere Cristina De Piante è stato un incrocio fortunato di sentieri, provocato da quello scopritore d’incantati boschi letterari che è Davide Brullo. In quanto direttore della collana I Solidi (per cui en passant ho già tradotto le lettere veneziane di Byron), su titoli e progetti lascerei la parola a lui: “I titoli scelti assecondano il capriccio delle scelte aristocratiche, che perseguono una specie di disciplina spirituale, una ascesi nella forma. Da qui, gli autori granitici, i libri spesso ‘decisivi’, insoliti, in contrasto con le mode del tempo. Tra i prossimi libri segnaliamo una lettera straziante di Marina Cvetaeva introdotta da Ezio Mauro, le interviste di Walt Whitman, la prima favola animalista mai scritta, ricavata dalla sapienza sufi”.

Progetti, tra persone che si stimano e che hanno gli stessi obiettivi ce ne sono molti, d’intenti sicuramente e qualcuno anche pratico, ma su questi ultimi non aggiungerei altro…

Vorrei infine ribadire la comunanza di visione, ciò che condividiamo della letteratura: un’angolazione molto seria, fortemente “aristocratica” nella ricerca di tesori, lo scovare le “pagliuzze d’oro” di Lampedusa, il privilegio di scoprire, o riscoprire, queste meraviglie.

Mentre s’insegue, come dice Colette, “il filo di un canto immaginario…”

Emanuela Borgatta Dunnett

@ P. Tonussi