Il Piacere a Tavola con Gabriele d’Annunzio

@ Il Leone Verde Editore

Intervista ad Andrea Maia

Che rapporto ebbe il Vate con il cibo, la tavola e l’impareggiabile cuoca suor Intingola? Lo scopriamo in questa ‘appetitosa’ intervista con Andrea Maia, autore di un recente saggio dannunziano sui generis, tutto da gustare!

Cosa ci rivelano del Vate le ricette di cui era ghiotto?

Per prima cosa rivelano l’attaccamento ai cibi della sua terra d’Abruzzo e della sua infanzia. Un esempio sono le uova sode accompagnate da crema di acciuga (che egli giudica, in un biglietto alla cuoca, causa di uno svenimento che nessuna femmina mi farà mai provare) e le frittate, come quella di 33 uova che egli aveva preparato per gli amici di Francavilla (come racconta con gustosa autoironia nel Libro segreto) ma che, mentre cercava di rivoltarla, gli era sfuggita ed egli immagina che l’abbia rapita un angelo per offrirla ai Beati.  L’importanza da lui attribuita alle uova come cibo è confermata dalla circostanza che al Vittoriale fece costruire un grande pollaio. Le sue ricette preferite ci rivelano che i suoi gusti erano semplici (amava l’accordo mistico tra cacio pecorino e mascarpone, cui attribuiva effetti afrodisiaci, gli scampi, la carne di vitello e di cinghiale). Certamente non era un gourmet e alternava al nutrimento periodi di rigoroso digiuno, uscendo dal quale si sentiva affamato come un lupo della Maiella. Egli però considerava il gesto del mangiare inestetico e al Vittoriale di solito non si univa ai banchetti che offriva ai suoi ospiti ed a capotavola nella sala da pranzo aveva fatto collocare (come monito ad esser parchi nel cibarsi) la statua di bronzo – con carapace autentica – della Cheli, la grande sua tartaruga morta nel giardino per una indigestione di tuberose. Dopo il periodo francese cominciò a considerare piatti più raffinati e, pur restando astemio, prestò maggior attenzione ai vini e realizzò una cantina con scelte raffinate.

Qual è stata la genesi del libro e come è giunto alla scelta di una struttura così originale, accostando le ricette alla prosa, al teatro e alla poesia di D’Annunzio?

La genesi è semplice, in quanto ho partecipato fin dall’origine alla collana “Leggere è un gusto” della casa editrice “Il leone verde”, da poco rinnovata nella veste grafica, e dedicata in origine alla presenza del cibo nella letteratura, mentre ora riguarda anche le arti e la storia. I miei primi libri nella collana furono dedicati al cibo nel Decameron di Boccaccio, nell’Ulisse di Joyce e nelle Cronache di Narnia di Lewis. Nella collana rinnovata ho scritto Angurie per Amadeus, un saggio sul cibo nei viaggi in Italia di Mozart adolescente, tra i quattordici e i sedici anni. Quanto all’accostamento dei piatti alla poesia ed alla prosa, non sempre è stato facile trovarlo, in quanto raramente presente; per la poesia (che è l’aspetto più riuscito ed eccellente, a mio parere, dell’opera letteraria del vate) ho dovuto fare una specie di acrobazia: ho citato il testo di Pastori d’Abruzzo allo scopo di poter inserire ricette che contengono come ingrediente fondamentale il formaggio pecorino…

Dal profilo che ne traccia, quale pensa sia stato il rapporto tra D’Annunzio e l’arte culinaria abruzzese, e come sono cambiati i suoi gusti, fino a giungere al Vittoriale?

Il rapporto di D’Annunzio con la terra e il cibo abruzzesi è stato di sostanziale fedeltà, nutrita di nostalgia per la terra della sua infanzia, presto lasciata (gli studi li fece in Toscana, al liceo Cicognini di Prato) ma sempre viva nella sua memoria e nelle opere. Ed ai cibi della terra di origine egli restò sostanzialmente fedele; ed inventò anche il nome del dolce tradizionale natalizio, che chiamò Parrozzo; e nella tragedia La figlia di Jorio fece preparare la zuppa rustica abruzzese. Nel periodo del Vittoriale aggiunse qualche piatto francese (Il Bue alla moda, Le pernici) o milanese (il risotto) continuò ad amare i piatti della sua terra di origine.

Quali sono stati i momenti salienti e i tratti fondamentali del suo lungo rapporto con suor Intingola?

Albina Lucarelli Becevello entrò come cuoca al servizio di D’Annunzio nel 1916, nel periodo immediatamente seguente all’incidente di atterraggio aereo che provocò la perdita di un occhio al poeta-soldato: un momento difficile, quando egli era assistito, a Venezia dalla sua unica figlia giovinetta. Albina era una campagnola veneta da poco sposata e accompagnerà il poeta da allora fino alla morte, nel 1938, con fedeltà e devozione. Sarà un personaggio importante soprattutto dal 1922 in poi, nella vita al Vittoriale, ove fungeva da cuoca, ma si occupava anche degli aspetti della vita quotidiana e delle vicende domestiche. Di lei il poeta si fidava completamente, le fece arredare una splendida e moderna cucina, ed era solito comunicare con lei, inviandole biglietti, spesso per suggerirle piatti speciali che si adattassero alla personalità dei visitatori (che per lo più erano ospiti femminili, oggetto delle brame erotiche del Vate, che spesso confidava a lei anche aspetti intimi delle sue relazioni con le amanti che lo visitavano). Ma D’Annunzio, che pure raramente si lasciava sfuggire di mano una femmina, con lei ebbe sempre rapporti casti ed irreprensibili, come suggerito anche dalle scelte linguistiche: la chiamava Suora e si firmava regolarmente Priore, talora addirittura Santo Priore, quasi il Vittoriale fosse un convento. In realtà il poeta del piacere e dell’erotismo era stato spesso anche tentato da visioni misticheggianti (come si vede leggendo il Poema paradisiaco), e quando nel 1924 il Re lo fece nobile col titolo di Principe di Montenevoso, aveva inserito nel suo stemma il cordone di San Francesco.

Ha intenzione di dedicare altri lavori a D’Annunzio? Posso chiederle se sta lavorando ad altri progetti?

Anche se il personaggio ha suscitato il mio vivo interesse, per ora sono impegnato a concludere altri progetti. Sta intanto per uscire il prossimo mio libro nella stessa collana, che è dedicato alla cucina nella vita di un grande pittore; si intitola “A tavola con Picasso”. In questo momento sto anche per concludere di scrivere un consistente volume (a cui lavoro da qualche anno e che sarà pubblicato per il salone del libro dall’Editore Graphot di Torino) che esamina, anche attraverso una ricca antologia, i ritratti femminili presenti nella storia della poesia italiana dalle origini al Novecento (inizia con  Guinizzelli e si conclude con Caproni), e che avrà come titolo: Donne amate e cantate dai poeti.

Emanuela Borgatta Dunnett