Emily Brontë di Paola Tonussi

Emily Brontë di Paola Tonussi – Salerno Editrice

Emily Brontë di Paola Tonussi non è una semplice biografia. E’ un luogo dell’anima. Un sospiro leggero e duraturo.

La vita dell’autrice inglese, infatti, viene ripercorsa senza tralasciare nulla dal punto di vista storico, ma ‘dandole spazio e voce’, in un susseguirsi di eventi che permettono al lettore di carpirle l’essenza.

Paola Tonussi fa sue le suggestioni della scrittura di ‘Cime Tempestose’, spendendo mirabili parole nella descrizione di Haworth e della brughiera tanto cara ad Emily.

Paola Tonussi vanta una carriera letteraria di prestigio e fa – altresì – parte della Brontë Society. La nostra intervista ci ha dato modo di addentrarci ulteriormente nello sfaccettato universo della Brontë e di scoprire i progetti futuri dell’autrice.

Inizierei col chiederle com’è riuscita ad arginare la scarsità di fonti dirette, durante la stesura della biografia dedicata ad Emily Brontë?

Se è vero che abbiamo poche fonti dirette per ‘costruire’ una biografia di Emily Brontë (qualche biglietto di compleanno scritto a quattro mani con la sorella Anne, un paio di brevi lettere, una decina di compiti in francese), abbiamo però moltissime fonti indirette di testimoni privilegiati: i fratelli Charlotte, Branwell e Anne. Da bambini compagni di gioco dalla vista acuta e dalla sensibilità generosa e da grandi colleghi poeti e scrittori, nonché disegnatori e musicisti.

Emily non scrive quasi lettere ma Charlotte ne scrive invece moltissime e da questo epistolario ci è possibile dedurre un’infinità di informazioni sulla sorella e sulla famiglia.

Si tratta di tre volumi fittissimi con destinatari disparati – amiche, editori, insegnanti – tra i quali anche quel Monsieur Héger di cui Charlotte s’innamora ma che entra in conflitto da subito con la fortissima personalità di Emily.

Sono testimonianze preziose sul carattere di Emily, sul suo atteggiamento verso le imposizioni e quindi sul suo senso della libertà, su cosa significa per lei scrivere, sul rapporto con un ambiente scolastico esterno e le compagne che trova a Bruxelles. Lo stesso “viaggio d’istruzione” in Belgio Emily lo accetta perché gliel’ha chiesto Charlotte, ma lei certamente non si sarebbe mossa di casa.

Commoventi fino allo strazio sono poi le lettere che Charlotte scrive sull’ultimo periodo della vita di Emily, quando la sorella rifiuta ogni cura, ogni conforto e Charlotte e Anne non possono che assistere al suo declino impotenti.

Anche Branwell è un meraviglioso grafomane mentre, in linea con il carattere discreto, la minore Anne scrive meno. Però sul suo rapporto con Emily gli studiosi possono contare sul diario della migliore amica di Charlotte, Ellen Nussey, che non solo scrive su di loro (e sull’intera famiglia), ma è anche l’unico ospite che i Brontë abbiamo mai avuto alla canonica. E’ lei, per esempio, che definisce Emily e Anne “due statue unite della forza e dell’umiltà”.

Abbiamo poi testimonianze sparse di abitanti del villaggio di Haworth e infine delle domestiche, che in casa Brontë sono sempre trattate come componenti della famiglia, soprattutto la mitica Tabby, affezionatissima a Emily.

Per tornare un attimo all’infanzia dei Brontë, questi bambini iniziano prestissimo a redigere delle cronache in forma di vere e proprie riviste confezionate in casa, in cui danno notizia di cosa leggono, cosa mangiano, cosa fanno nelle loro giornate, una serie di libriccini incantati che è una delizia leggere.

Come si è mossa dal punto di vista della ricerca storico-letteraria? Recandosi anche a Haworth?

Da decenni studio l’opera e la vita di Emily ma anche dei fratelli, perché questi quattro ragazzi formano un unicum nella letteratura e nella vita, per cui è impossibile parlare di uno di loro senza coinvolgerli tutti.

Emily è un’autrice che mi ha ‘stregata’ da subito, quando ho letto per la prima volta il romanzo al liceo: è stata come mi avesse attraversato una tempesta.

Poi, dopo la prima adesione emotiva, di grande adesione e pathos, l’ho studiato criticamente all’università e da lì è iniziato il desiderio di approfondire la biografia: in inglese ci sono studi eccellenti, sia biografici sia saggistici sulle opere, che poco alla volta hanno costituito un patrimonio di conoscenze.

Nel frattempo sono diventata socia della Brontë Society, collaboro con la rivista internazionale di studi brontëani “Brontë Studies” (un mio pezzo sul tema della prigionia, fisica e mentale, in Emily Brontë è appena uscito sul numero di luglio 2021), sono in ottimi rapporti con la Curatrice generale del Museo Brontë (l’ex canonica di Haworth dove la famiglia ha vissuto), un’altra eminente studiosa e più o meno tutti gli anni mi reco “in pellegrinaggio” a Haworth.

Lì ritrovo la casa, il cimitero e la chiesa che Emily ha sempre avuto sotto gli occhi, rintraccio i suoi passi per le colline raggiungendo i luoghi dove lei stessa andava, il ponte sul torrente che lei e le sorelle chiamavano “L’incontro delle acque” perché vi confluiscono varie correnti (il nome è tratto da un verso di Moore), la fattoria elisabettiana in rovina Top Withins (una delle fonti d’ispirazione per la casa di Cime tempestose) o Ponden Hall, che ha ispirato la casa degli Earnshaw Thrushcross Grange. Ascolto il vento, mi perdo tra l’erica se è estate, incontro le pecore dal muso nero. La prefazione alla mia biografia l’ho scritta nel settembre 2018 seduta su una delle tombe del cimitero, dopo un lungo giro per le brughiere.

Dove crede risieda il fascino senza tempo dei versi di Emily, i quali restano eternamente contemporanei?

Questa è una domanda affascinante e difficile. Emily ha scritto un romanzo e versi meravigliosi che sono strettamente collegati: c’è un continuo ‘travaso’ dall’uno agli altri di temi, atmosfere e sensazioni perché, pur conoscendo molto bene la letteratura del ‘700 e quella romantica – Byron quasi a memoria, Wordsworth e Shelley solo per fare alcuni esempi – nonché la letteratura classica e le riviste, lei riversa nella propria opera l’amore violento e commovente per la terra, la brughiera, il vento, i fenomeni atmosferici come fossero, tutti, parte di sé.

Emily filtra ogni cosa alla luce della sua personale, scintillante visione della natura: una natura spesso appunto violenta ma sempre vicina al suo cuore, gli animali altrettanto amati che sono gli abitanti delle colline e ne fa – direbbe Eliot – un ‘correlativo oggettivo’ della propria anima, oltre che il suo grande tema di scrittura.

Il rapporto tra uomo e natura è sempre lo stesso, da Omero in poi: perciò i suoi personaggi ci raccontano le nostre gioie e i nostri dolori, la sofferenza della solitudine, l’aspirazione alla libertà interiore che per lei è sempre stata un mito, il volo della fantasia, l’aspirazione a riunirci a chi amiamo. “Terra” è l’ultima parola del romanzo e la sua vera conclusione: la vicenda “tempestosa” di Catherine e Heathcliff termina davvero nella “quiete” solo quando la madre terra, la brughiera, riporta a casa i suoi figli.

A Emily non importava molto se di qua o di là della vita: oltre la vita, nell’erica, tra il vento. Accanto ai suoi animali. Tra le rocce eterne che erano un simbolo dell’amore di Heathcliff per Catherine. L’erica e le more selvatiche allargate sopra la terra.

Il mito della scrittrice solitaria e romantica pare ingabbiare il vero estro creativo dell’autrice di Cime tempestose. Quale pensa sia la chiave di lettura più corretta per approcciare le opere di Emily, oggi?

Un’altra domanda pregna di mistero e di fascino. Credo che ogni lettore trovi, quando ama un autore, la “sua” chiave. E’ dimostrazione della ricchezza e prodigiosa vitalità artistica e umana di Emily Brontë che la sua vita e la sua opera continuino a soggiogare generazioni di lettori, appassionati, scrittori, studiosi, persone comuni.

Alla sua morte, Emily è una ragazza di trent’anni che ha scritto un romanzo straordinario – ma incompreso dai contemporanei, perché troppo ‘forte’, come lei, troppo impetuoso, come lei – e molti versi, di cui sopravvivono oggi circa 200 composizioni tra liriche compiute e frammenti. E’ una ragazza che ha visto il mondo e non ne ha trattenuto illusioni, perciò a un certo punto decide di non lasciare più la propria casa, l’unico luogo dove è felice e sa di poter scrivere liberamente.

Credo che l’essenza della personalità di Emily sia in una lirica che lei dedica al suo falco Nero, dove s’identifica completamente nel suo destino. Lei non è né si sente migliore da Nero: entrambi sono soli, prigionieri e assetati di libertà. Sono esseri affini. La sua straordinaria capacità d’immedesimarsi nel mondo animale e naturale può essere una buona chiave di lettura: il sentimento vince sulla ragione, l’empatia sulla distanza.

Proseguendo a leggere la lirica, intuiamo che la libertà a cui entrambi aspirano è un volo nell’Eterno, quindi la libertà della morte, ed Emily dice:

E se io prego, la sola preghiera

Che mi muove le labbra è

“Lasciami il mio cuore

E dammi la libertà”

(…) E’ tutto ciò che imploro –

Nella vita e nella morte, un’anima senza catene

Con il coraggio di sopportare!

Ecco, quest’“anima senza catene” è Emily Brontë. Né più né meno. Un essere indomito come il suo falco, un’anima Titano che si getta senza paura nella libertà, sia pure quella dell’Eterno. O della morte che per lei, comunque, non esisteva.

Posso chiederle a quali futuri progetti sta lavorando?

Certamente, e la ringrazio della Sua attenzione.

E’ in uscita per De Piante Editore (Milano) una mia traduzione di lettere veneziane di Byron in una collana diretta da Davide Brullo, e in autunno uscirà per la Ares, sempre Milano un mio libro su Josif Brodskij, altro autore che amo moltissimo e che, come Emily, mi accompagna da molto tempo. Come dice lo stesso Brodskij, la mia è “una storia di fedeltà…”.

Emanuela Borgatta Dunnett

@ Paola Tonussi
@ Paola Tonussi
@ Paola Tonussi