Difficile trovare parole per “Sullo Zero”. Gli incanti si muovono su binari che poco hanno a che fare con le spiegazioni. “Sullo Zero” è una raccolta di poemetti da un paio d’anni ma, da qualche settimana, è anche un album. “Sullo Zero” è il progetto solista di Giulio Estremo Casale, voce degli Estra. “Sullo Zero” è un modo di ascoltare canzoni, unite e avvolte dalla lettura. “Sullo Zero” è un mezzo per riempire di emozione il silenzio, rendendoci complici di quel pubblico che ha assistito ai reading di Casale e si è arreso alla bellezza, alla semplicità della parola pura, al coinvolgimento emotivo.
Incontriamo Giulio Estremo Casale al termine del reading tenutosi alla Fnac di Torino, per qualche spiegazione in prima persona.
- Il filo conduttore del tuo lavoro pare essere l’assenza però si conclude con il brano “La Strada”. Come si passa da uno stato all’altro? Qual è il momento di bellezza determinante?
“L’esperienza più forte che mi ha segnato, in realtà, è quella della bellezza a cui si arriva attraverso il dolore. Forse il dolore è la porta più potente che ho attraversato per arrivare a conoscere frammenti e spaccati di bellezza. Credo che si arrivi a “La Strada” restando in ascolto, senza chiudersi in certezze. Se ciascuno di noi smettesse di avere delle verità il mondo sarebbe molto più affascinante e sorprendente.
Mi sembra che dallo zero al pieno si debba passare attraverso al venir meno della domanda “perché?” e da quel sentimento che affiora solo quando si smette di chiederglielo; anche “Perché?!” [Il nuovo singolo degli Estra. N.d.R.] racconta proprio questo percorso.”
- Da ascoltatrice ho provato una forte differenza emozionale passando dagli album degli Estra a “Sullo Zero”. Qual è stato, invece, il tuo approccio?
“Sono il primo a sorprendermi di quanta differenza ci sia in canzoni che armonicamente sono identiche, molto vicine all’originale. Penso di avere anche quest’anima che per dieci anni non ho tirato fuori, “nascosta” dentro una band da rumore, muscoli e gioia come sono gli Estra; però è dentro di me e sono molto grato e chi mi ha dato la possibilità di esporla in un aspetto più teatrale e meditato, appoggiato al canto e alla voce a tutto campo, esperienza vocale che negli Estra rimane un po’ soffocata.”
- Passando agli inediti, qual è stato il percorso de “La Strada”?
“La Strada” l’ho scritta pensando a questo spettacolo. Dopo una quindicina di repliche ho sentito l’esigenza di avere una sigla finale, “une morale de cette histoire” per trarre una specie di insegnamento dalla strada che avevo percorso sullo Zero. La scoperta è stata proprio la rinuncia alla vanità di fuggire continuamente invece di fare i conti con se stessi, di avere il coraggio di fiorire a se stessi, smettendola di indossare maschere o di seguire finte mete.
“La Strada” intesa come percorso di vita che si può intraprendere andandosene ma anche restando fermi nella propria casa.”
- “Finché Posso”, invece, è dedicata a Jeff Buckley di cui hai tradotto i testi. Vorrei sapere come ti sei trovato a “manipolare” quei versi e quale pensi fosse il segreto della sua alchimia tra testo e musica?
“Penso che la straordinarietà risieda nell’inscindibilità di testo e canto. I testi ascoltati e cantati da lui volano. Letti soltanto, forse non sempre assurgono a poesia però c’è un’inquietudine, una bellezza straziata che riconosco subito. Ho speso molto nel cercare di rendere lo stesso spirito passando dall’inglese all’italiano perché sono lingue con regole, ritmi e tempi completamente diversi. Un lavoro complesso, portato avanti grazie alla passione che avevo rispetto al personaggio. Non credo tradurrei per mestiere ma ne valeva pena.”
- Curiosando fra i ringraziamenti dell’album ho notato due nomi, quelli di Francis Bacon e Carmelo Bene. Vorrei sapere come e se è cambiato il tuo punto di vista grazie a loro, nei confronti dell’arte e in generale.
“C’è anche Munch che ho scoperto a 8 anni… Sono incontri fondamentali perché tirano fuori cose che tu hai dentro e non immaginavi così forti. Mi hanno insegnato a rischiare di andare fino in fondo, di non temere di essere estremi, esagerati, incompresi. Se c’è una grandezza, è quella di osare la non contemporaneità, lo scandalo. Io cerco di parlare a tutti, con un linguaggio che sia il più possibile universale, però senza paura dei contenuti o autocensura. Quando ho scritto “L’uomo coi tagli” – che attualmente è una specie di inno per chi viene ai concerti degli Estra – pensavo di aver scritto una canzone troppo dura e violenta per diventare amata, mentre si è rivelata la più richiesta. Questi grandi artisti che hai citato sono simboli di un’attitudine elevata, a tratti geniale al di là del quotidiano e delle convenzioni retoriche che crediamo scontate mentre ci vengono imposte. Mi interessa il coraggio di andare oltre il già detto e consumato.”
Emanuela Borgatta Dunnett – 2002