

INTERVISTA A PAOLA AMELIA AMADESI
Nel 1971, lo sceneggiato RAI ‘Il Segno del Comando’, interpretato da Ugo Pagliai e diretto da Daniele D’Anza, era destinato a cambiare – per sempre – i canoni delle serie TV e a dettare nuove leggi narrative.
A cinquant’anni di distanza da quello che fu un vero e proprio cult, un’autrice ravennate tenta – con successo – una chiave di lettura nuova nei suoi volumi dedicati, conducendo il lettore fra le pagine di un noir che lascia senza fiato.
Vorrei, innanzitutto, chiederti com’è nato il tuo interesse per: ‘Il Segno del Comando’.
Quando fu trasmesso la prima volta, nel 1971, avevo sette anni, quindi non l’ho visto. E’ stato replicato successivamente e l’ho visto. E’ cominciata la “malattia”. Io sono una studiosa di occultismo, meglio, di esoterismo (ciò che è riservato ai pochi) e lo sceneggiato ha molti elementi di questo tipo. Me ne sono innamorata al punto di vederlo almeno una volta al mese. E, più lo guardo, più capisco. I messaggi in esso sono, appunto, esoterici, cioè destinati a pochi. Mi sono sempre chiesta se gli autori (Bollini in primis, dato che era sua l’idea ma non ne volle curare la regia – chissà perché, visto che poi firmerà “Ritratto di donna velata” – il grande D’Agata ed il regista D’Anza) fossero iniziati. Nel senso esoterico. Se non lo erano, senz’altro conoscevano molto bene i simboli dell’esoterismo. Nella sigla finale, che sto ancora studiando per un libro, ci sono chiari elementi cabalistici, cartomantici e alchemici.
Vuoi dirci qualcosa in più sulla genesi del tuo romanzo e come hai deciso di strutturarlo?
Il romanzo è nato a Brisighella, dove è ambientato. Mi sono ispirata alla gente che conosco per i personaggi, perché risultassero più “veri”. Avevo un amico, purtroppo scomparso, che condivideva con me la passione per il SDC, il quale era spesso con me a Brisighella e ne parlavamo, di un possibile romanzo noir ambientato lì. Digressione: Pupi Avati, quando ha letto il libro e l’ho condotto a Brisighella per una breve gita, mi ha detto che, in effetti, le location scelte sono davvero “noir – gotiche”. Gotiche perché c’è di mezzo la religione, il sacro dissacrato. Il mio amico, quando mi veniva a prendere, riferendosi all’Osteria della Fonte, mi chiedeva: “Andiamo alla taverna dell’Angelo”? Quindi c’era, a livello inconscio, un rimando al SDC. Però non avevo pensato a Forster in un primo momento. Ho pianificato grosso modo i fatti e le persone poi mi sono incagliata. Un po’ com’è successo davvero agli sceneggiatori del SDC. Non mi paragono a loro per bravura, ma per metodo. Quando, finalmente, ho deciso di inserire Edward Forster, la trama si è come…sciolta, e tutto è ripartito. Quindi il giovane David è diventato suo figlio e via discorrendo. Fino a portare a Brisighella il segno del comando vero e proprio. Una precisazione: il titolo “Il libro del comando” ha due significati: uno rimanda allo sceneggiato ma, in alta magia, il libro del comando è lo strumento di cui si servono i maghi per evocare gli spiriti, maligni o benigni che siano. Una specie di quaderno in pergamena su cui si scrivono i simboli dell’evocazione. E’ poi rilegato in metallo, dal piombo all’oro (alchimia) secondo il tipo di evocazione: alta o bassa.
Come sei riuscita a non farti influenzare troppo dall’opera originale, scrivendo ‘Il Libro del Comando’?
Beh, perché io non sono Giuseppe D’Agata, purtroppo!!!
Perché credi che D’Anza e D’Agata abbiano scelto Lord Byron come elemento chiave della loro storia?
Perché Byron si prestava, nell’ottica degli anni 70, in cui tornava di moda la divinazione (carte, chiromanzia, fondi di caffè, ecc.) per il suo modo di vivere sregolato, lussuoso e un po’ morboso ad essere il personaggio giusto su cui imperniare il messaggio segreto. Il Romanticismo spesso coincide con l’esoterismo, anche se non si hanno prove che Byron fosse un occultista. A parte il famoso episodio di villa Diodati, in cui si rinchiuse con Polidori, Sheley e la moglie Mary e Clare Clairmont (da cui poi ebbe la disgraziata figlia Allegra) per sperimentare contatti con l’aldilà al fine di trarne ispirazione per romanzi di fantasmi, non c’è molto altro. Fra l’altro da quella nottata, oltre a Claire incinta, ne uscirono “Frankenstein” di Mary Shelley, che non è un romanzo sui fantasmi ma distopico, sul probabile futuro immorale dell’uomo, e “Il vampiro” di Polidori, che aprì la strada a Bram Stoker.
In ultimo, devo aggiungere che Byron scrisse “Manfred”, opera tesa al contatto con l’aldilà ed alla vita dopo la morte. Insomma, aveva le caratteristiche giuste.
Hai recentemente intervistato Ugo Pagliai sullo sceneggiato da lui interpretato. Quali nuovi elementi sono scaturiti dalla vostra chiacchierata?
Meraviglioso il maestro Pagliai! Sono la sua stalker n. 1! A volte lo chiamo anche solo per udirne la voce! Nell’intervista sono emersi dettagli sui fatti accaduti durante le riprese del SDC, come gli uccelli urlanti durante la seduta spiritica (il maestro ha tenuto a sottolineare che “erano veri” e che “lui era spaventato davvero”), il cronometro che, durante la registrazione dell’orchestra a Massenzio, anziché rilevare il tempo è andato indietro di 36 secondi e la malattia improvvisa agli occhi di Augusto Mastrantoni, che impersonava il colonnello Tagliaferri. E che lui, Forster, se lo porta ancora dentro, che tutti erano tesi verso la realizzazione di qualcosa mai visto prima in TV, ed è vero: fu il primo film ad affrontare il tema della vita che coesiste con la morte (Edward e Lucia), l’aldilà. Il paranormale, insomma.
Stai già lavorando a nuovi progetti in merito?
Ho ideato e scritto molti volumi per una “Collana del mistero” Edita da E. M. Edizioni di Ravenna, la mia città. Ora ho in mente una collana sul paranormale negli sceneggiati RAI e vorrei che fosse la RAI stessa a pubblicarlo, ma è come sbattere contro un muro di gomma: non si riesce a parlare con il direttore editoriale. Vorrà dire che la collana apparirà su Amazon, dove ci sono tutti i miei libri: il sito offre alta visibilità e buone possibilità di vendita. Alcuni li ho tradotti in inglese e stanno vendendo. Cosa che vorrei fare anche per “Il libro del comando”. Gli sceneggiati da comprendere nella collana sono sette.
Sei membro dell’Associazione Cultura ‘Le Tarot’. Di cosa si occupa, in particolare?
L’Associazione è presieduta dal suo fondatore, il professore Andrea Vitali di Faenza, esimio simbolista, medievista, docente di Tarocchi e Storia dei Tarocchi. Tra i membri ci sono personalità come Franco Cardini. Il lavoro svolto è tanto: traduzioni di saggi per l’estero, analisi dei simboli, mostre, conferenze (ora, ovviamente ferme per la pandemia). Il professore è stato il primo in Italia ad allestire mostre sui Tarocchi e tante sono le sue pubblicazioni in merito. Ed è uno dei protagonisti del mio romanzo: una meraviglia vederlo muoversi accanto a Forster!
Inoltre, dopo il romanzo “Il libro del Comando”, ho pensato di celebrare il cinquantennale dello sceneggiato di Daniele D’Anza e Giuseppe D’Agata, “Il segno del comando” scrivendo un saggio dedicato. Il libro è il primo volume della collana “Il paranormale negli sceneggiati RAI”, disponibile su Amazon. Ci ho lavorato tre mesi, per carpirne i significati meno manifesti, con l’aiuto di validi studiosi, tra cui il noto simbolista Giordano Berti e lo storico Giovanni Fresa. Il lavoro è stato orientato principalmente sul significato occulto di immagini presenti nello sceneggiato, cercando di decifrare un messaggio che rimane, a distanza di 50 anni, ancora non del tutto risolto e molto, molto affascinante.
Emanuela Borgatta Dunnett
