Intervista a Cinzia Canali

Cinzia Canali è nata e cresciuta a Forlì. Dopo gli studi, svolge qualunque tipo di lavoro per mantenersi, fino a quando decide di concentrarsi su ciò che davvero vuole fare nella vita: scrivere. Appassionata di letteratura e musica, ha collaborato con webzine e magazine locali. Crede nell’idea che l’arte non possa salvare il mondo, ma lo possa rendere un posto decisamente migliore.
Nella nostra intervista ci svela com’è nata la sua opera prima Patto di Tenerezza (Bre Edizioni), quali le sfaccettature, e le porte letterarie che – nel futuro prossimo – la attendono.
Partirei col chiederti quando hai capito che la scrittura ti è necessaria…
Penso di aver capito quanto mi piacesse scrivere alle elementari, durante lo svolgimento dei temi. Era l’unico momento in cui non accusavo l’ansia da prestazione, percepivo di navigare in acque sconosciute ma
sicure. Poi, negli anni dell’adolescenza, ha cominciato a farsi evidente il potere catartico che la scrittura aveva su di me. Mentre intorno la quotidianità sovente mi schiacciava, di fronte al foglio bianco ritrovavo
respiro, ritrovavo me. Mi chiudevo in camera, alzavo il volume della musica e consumavo inchiostro, che si trattasse di riempire la pagina di un diario, di abbozzare una lettera o un testo, poco importava. È in quei
momenti che ho scoperto realmente come scrivere potesse rendermi una
persona libera. E viva.
Ci sono autori che, nel tempo, ti hanno particolarmente colpita per il loro stile ed i loro contenuti? Quale genere letterario senti più vicino?
Il mio approccio alla lettura è cambiato molto nel tempo, se fino a una decina di anni fa era raro mi allontanassi dalla narrativa, crescendo ho ampliato i miei orizzonti e affinato i gusti. Mi commuovo leggendo le poesie di donne immense come Chandra Candiani, Patrizia Cavalli o Mariangela Gualtieri e mi appassionano i saggi di psicologia, un nome tra tutti: Irvin Yalom. “Il dono della terapia” è un libro che mi ha folgorato e fatto riflettere come pochi altri. Tornando, invece, alla narrativa, ci sono diverse autrici contemporanee che apprezzo, penso a Valentina Farinaccio, Valeria Parrella o Donatella Di Pietrantonio, seppur il romanzo che ritengo di poter annoverare tra i preferiti di sempre, sia “L’arte della gioia” di Goliarda Sapienza. Scritto negli anni ’70, pubblicato circa vent’anni dopo, e ancora oggi contemporaneo e rivoluzionario.
Nel decidere di scrivere un romanzo, come hai impostato il processo di stesura?
A dir la verità tutto è cominciato da una telefonata di lavoro, conclusa con un impellente mio desiderio di lanciare il cellulare contro il muro.
Mezz’ora dopo stavo scrivendo la prima pagina di “Patto di tenerezza”. Non sapevo niente di niente, come avrei continuato, se avrei continuato. Ricordo solo che seguitavo a ripetermi: “questa volta è quella buona”.
Così è stato. Dopo le prime pagine ho preso carta e penna e ho improntato una scaletta, avevo delle immagini talmente nitide nella mente che la genesi del racconto si è sviluppata in modo molto spontaneo. Ho appuntato i fatti salienti che volevo approfondire in ogni capitolo e i nomi dei vari personaggi, niente di più. Le difficoltà sono giunte nel momento in cui ho cominciato a rileggere, lì è emersa tutta la mia pignoleria. Sono sopravvissuta per fortuna, ho apportato svariate modifiche, ma non ho mai ceduto al richiamo del tasto reset.
Patto di Tenerezza è caratterizzato da personaggi estremamente sfaccettati. E’ stato difficile dare una voce distintiva ad ognuno di loro?
No, è stato piuttosto entusiasmante. Lavorare di fantasia, scoprire la meraviglia di poter dare sfogo alla mia creatività senza freni, mi ha donato una leggerezza d’animo mai provata prima. In questo senso, creare dal nulla il personaggio di Laura, mi ha regalato le soddisfazioni più grandi. Non pensavo fosse possibile affezionarsi a un personaggio frutto dell’immaginazione, è successo. Addirittura, a stesura avviata, mi è capitato di sognare Laura, nell’esatta ambientazione in cui hanno preso vita gran parte dei dialoghi tra Giulia e la dottoressa Colombo.
Credo che quella voce distintiva di cui parli abbia preso vita facilmente grazie al mio approccio alla scrittura: prima di qualsiasi schema, arrivano le immagini. Prima di annotare qualunque parola, nella mente mi appaiono nitide le fotografie di ogni protagonista, scorgo le espressioni, la postura, i dettagli di ogni luogo.
Certi altri personaggi del romanzo, invece, sono stati ispirati da persone che in un modo o nell’altro hanno fatto parte della mia vita, in questo caso il lavoro è stato diverso. Ho dovuto soffermarmi sul cercare di non far prevalere la mia parte più emotiva, facendo un passo indietro per permettermi di osservare ciascuna figura con uno sguardo più disamorato… o meno arrabbiato, talvolta! Forse è stata questa la parte più ostica da affrontare.
Quali progetti ti vedono coinvolta, al momento e quali le differenze con la tua opera prima?
Sto scrivendo un nuovo romanzo, ma è ancora tutto in fase di progettazione. Sono nel mezzo di un mutamento interiore che inevitabilmente va a impattare anche sulla mia scrittura, ed è qualcosa con cui devo fare i conti. La stesura di Patto di tenerezza mi ha provata molto emotivamente, sono stata costretta a guardare in faccia parti di me che avevo messo a tacere per spirito di sopravvivenza. Oserei dire che questo mio libro d’esordio abbia rappresentato davvero uno spartiacque tra un prima e un dopo nella mia vita. Non so cosa farò domani, non ho idea di quali strade prenderà questa mia seconda opera, ma arriverà. E spero saprà contenere parte del fermento che mi sta attraversando.
Emanuela Borgatta Dunnett
Info prossima presentazione del volume:


@Cinzia Canali, 2023