Intervista ad Ilaria Ferramosca e Chiara Abastanotti

«Essere medico non è una professione, ma una vocazione, un modo di dedicarsi alle persone. E se lo fai, perché non farlo per chi ne ha maggior bisogno?» Lucille Teasdale 1929-1996.
La graphic novel edita da Il Castoro e dedicata alla straordinaria vita di Lucille Teasdale è un’opera di rara intensità.
Ripercorriamo, grazie alla scrittura di Ilaria Ferramosca ed alle illustrazioni di Chiara Abastanotti, le tappe fondamentali della storia di una donna intenzionata a diventare chirurga, mossa dal proprio credo e dalla propria passione.
Una professionista pronta a sfidare convenzioni e pregiudizi degli anni Sessanta, trasferendosi in Africa con il marito Piero Corti e trasformando il piccolo ospedale di Lacor in uno dei maggiori ospedali no profit dell’Uganda, attivo ancora oggi.
Il libro, arricchito da prezioso materiale fotografico e dalla postfazione curata dalla figlia di Lucille, ci ha dato modo di analizzare, con le due autrici, il loro viaggio alla scoperta di una persona così fuori dal comune.
Quali sfide avete incontrato nel rappresentare un’esistenza incredibile come quella di Lucille Teasdale?
I.F. Non è mai facile approcciarsi a un personaggio reale. Nella realizzazione e gestione di un soggetto di fantasia, soprattutto se creato dallo stesso autore, è tutto molto più semplice, benché ci voglia anche in questo caso documentazione e grande cura nel “costruirlo” con tridimensionalità, credibilità e forza. Con un personaggio esistente o che è esistito, però, la complessità è maggiore: va reso per come realmente era, con tutte le contraddizioni che ognuno di noi ha, con ciò che lo rende umano, altrimenti si corre il rischio di raccontare un protagonista idealizzato e irreale. Con Chiara abbiamo ricevuto il grande supporto di Dominique (figlia di Lucille e Piero) e dell’intera Fondazione Corti, non solo per la doviziosa documentazione su un’esistenza così piena e complessa, ma anche per i suggerimenti e la supervisione meticolosa persino sui dettagli. La sfida più gande, però, è stata senza dubbio la ricostruzione di un contesto storico come quello dell’Uganda, con tutti i cambiamenti storici e sociali avvenuti dagli anni ‘60 ai ’90. La storia personale di Lucille è immersa in questo contesto e ne è stata, com’è ovvio, permeata; dalle guerre civili in particolar modo, oltre che dalla comparsa di malattie devastanti come fu l’AIDS sul finire del secolo scorso. Anche per quanto riguarda l’ospedale, cresciuto in maniera esponenziale nel tempo, è stata una sfida rendere graficamente l’enorme mole di sviluppo; sia in termini di ambienti sia di attrezzature, che si sono via via evolute. E in questo, la grande bravura è stata di Chiara.
C.A. Le sfide nel disegnare la vita di Lucille sono state tante: a partire dal trovare una sintesi convincente del suo volto che potesse essere riconoscibile per tutto l’arco della sua vita, il continuo cambio di tempo e di ambientazione, la precisione necessaria a raccontare luoghi reali, amanti e conosciuti profondamente da chi li ha vissuti, come il Lacor hospital.
Come avete lavorato insieme per tesserne le vicende, fra testo ed illustrazione?
I.F. Abbiamo lavorato condividendo il materiale messoci a disposizione dalla Fondazione Corti, consultandoci spesso su alcune inquadrature e alcune scene, per poterle rendere al meglio. Un’ambientazione reale è, come dicevo, molto complessa da rappresentare; di contro il tratto di Chiara ha la bellezza della sintesi e la capacità di rendere il tutto con poche linee. Per questo motivo, a volte le è stato necessario derogare dalla sceneggiatura per adattarla meglio al suo stile, con soluzioni da lei trovate che ho approvato appieno. È stata davvero molto abile e via via che condivideva le tavole rimanevo sempre più sorpresa da questa sua maestria, ed emozionata nel vedere ambienti e personaggi prendere forma e “vita”.
C.A. Ilaria ed io abbiamo già lavorato insieme per un altro libro, quindi lei sa come lavoro, anche se è passato molto tempo, e io so che di lei mi posso fidare. La collaborazione con Ilaria è sempre una sicurezza: le sue ricerche sono sempre molto accurate e organizzate, le sceneggiature precise e delicate, mi ha fornito dell’ottimo materiale visivo e ha saputo creare una cornice narrativa convincente. Durante la mia fase di lavoro, ci siamo confrontate su alcuni punti chiave, ma di base è stato tutto molto fluido.
L’università, la trasformazione di un ospedale ugandese e la fondazione della prima scuola di infermiere dell’Africa equatoriale… Ci sono altre tappe fondamentali che avete amato rappresentare del viaggio appassionante che è stata la sua vita?
I.F. La vita di Lucille è stata molto intensa fin dalla più giovane età. Era molto determinata già da bambina: aveva idee chiare e voleva diventare medico in un’epoca in cui questo era un mestiere solo maschile. La massima aspirazione per una donna poteva essere diventare infermiera o insegnante. Personalmente ho amato narrare l’incontro con Piero e il loro rapporto, anch’esso così inusuale per l’epoca. Era difficile trovare un uomo di vedute così ampie da mettere in primo piano la figura e la professionalità della propria moglie e compagna di lavoro. Invece loro hanno condiviso un sogno assieme, fianco a fianco sino alla fine.
C.A. Sì, la sua vita in Canada prima di partire per l’università, la sua relazione con Piero, la nascita di Dominique e la difficile separazione da lei durante la guerra civile. è anche la parziale storia di un Paese lacerato.
La vostra graphic novel spazia dall’attività di medico di Lucille, all’esperienza personale. Che idea vi siete fatte dell’essere umano dietro al camice?
I.F. Lucille ha dimostrato di avere valori molto forti in ogni tappa della sua vita. Da giovane specializzanda in chirurgia era sempre basita dinanzi alle affermazioni di alcuni suoi colleghi che parlavano in prevalenza di auto e stipendi, come se la scelta di essere medico non fosse dettata da una vocazione reale ma da un calcolo utilitaristico. Per Lucille era un privilegio mettersi al servizio di un altro essere umano, ricevere in affidamento l’altrui vita, un onore così grande da far passare in secondo piano i possibili rischi legati alla professione. Lo riteneva un prezzo più che equo da pagare: questa era Lucille, come medico e come persona.
C.A. Difficile non innamorarsi di Lucille! è una donna straordinaria sotto tutti i punti di vista, ha lottato contro pregiudizi, fatica, i condizionamenti del suo tempo e contro una malattia a cui non si sapeva dare un nome. Una donna che ha sacrificato e donato tutto per salvare vite umane al meglio delle possibilità. Mi dispiace solo non averla potuta conoscere davvero, immagino mi avrebbe messo molto in soggezione, ma avrei imparato moltissimo. Già solo scoprendo la sua storia e disegnandola ho imparato tanto.
È evidente il vostro profondo lavoro documentaristico. Come vi siete mosse nella ricerca di materiale?
I.F. La maggior parte ci è stato fornito dalla Fondazione Corti: biografie, libri fotografici sulla storia dell’ospedale, piantine dei luoghi, documentari, e un film sulla vita di Lucille e Piero con massimo Ghini e Marina Orsini. Moltissimo è stato anche il materiale personale fornitoci generosamente da Dominique, in particolar modo foto della loro casa e di alcuni momenti privati. Per il resto, sia Chiara che io abbiamo condotto altre ricerche, per contenuti e immagini: ambienti, contesti geografici, la guerra, le armi, l’abbigliamento e l’arredamento legato alle varie epoche e ai luoghi.
C.A. Su questo lascio parlare Ilaria, che ha fatto tutto il lavoro preparatorio, grazie alla disponibilità della Fondazione. Io ho aggiunto qualche ambientazione, alcune ricerche sulla moda e sull’arredamento delle varie epoche storiche e i continenti che abbiamo attraversato.
State lavorando ad altre opere insieme e/o individualmente?
I.F. Con Chiara mi sono trovata benissimo sin dai tempi di “Lea Garofalo, una madre contro la ‘ndrangheta” e lavorare assieme a quest’altra storia è stata una fantastica riconferma. Nei prossimi mesi mi occuperò di altri progetti con colleghi diversi, ma mi auguro che ci siano presto nuove opportunità per realizzare altre storie con lei. Spero che questo avvenga quanto prima. Al momento, però, ci attende una fitta attività di promozione del libro e sono felice di poterla condividere e trascorrere del tempo insieme.
C.A. Io ho appena pubblicato un fumetto breve con MalEdizioni che si chiama Wawona e i cani blu, scritto e disegnato da me. Sto lavorando a una webcomic con la sceneggiatura di Luigi Filippelli, ma entrambe sono storie immaginarie.
Emanuela Borgatta Dunnett