Museo Alberto Martini – Oderzo (TV)

Surrealista? Informale? Simbolista? Espressionista? O semplice genio che preferì il lavoro solitario e costante all’unione con i movimenti d’avanguardia a cavallo tra XIX e XX secolo? Il museo a lui dedicato cerca di far luce sulla figura di Alberto Martini.

La cura nella scelta e nell’esposizione cui lo spettatore si trova al cospetto tra le sale del Museo Martini di Oderzo sono, a dir poco, strabilianti.

Il delizioso labirinto oscuro che cela le opere dell’artista opitergino all’interno del maestoso Palazzo della Pinacoteca comunale è da percorrere tutto d’un fiato, immergendosi negli stanzini alla scoperta di un nome poco noto, ma da considerarsi come straordinario esponente di svariati movimenti avanguardisti. La metafisica, il simbolismo, l’espressionismo e l’informale formano in lui un unico magma in cui domina – assoluto – il contrasto tra reale ed immaginario.

“Credo solo a ciò che non vedo”, nell’affermazione del padre del simbolismo belga: Moreau leggiamo la summa del movimento stesso che fa delle immagini percepite dall’occhio interiore l’unico vero credo. Non esiste realtà più reale di quella ricreata dalla mente e ciò che l’occhio fisico percepisce non è che la mediocre copia del sogno.

Partendo da questo presupposto è facile comprendere perché l’attività onirica sia così vicina all’opera di Alberto Martini accomunandola a quella di Kubin, due stili pittorici inscindibili dominati dal macabro e dall’ignoto, da figure scheletriche e raccapriccianti che hanno portato l’artista ad eseguire splendide tavole ispirate alla Divina Commedia e a Dante che sono pregne di sangue e dolore pur nel loro rigoroso bianco e nero.

Questi due colori non colori sono la chiave di lettura di tutte le opere esposte, anche se non mancano i colori reali ed è nel contrasto cromatico estremo che l’amore per lo studio della psiche e dell’esoterico spiccano in modo evidente. Il grande numero di autoritratti non è, ovviamente, casuale poiché lo studio della propria anima è il fine ultimo cui Martini voleva giungere.

Nelle sue stesse parole, infatti: “Solo i veri grandi artisti non invecchiano, perché sono capaci di rinnovarsi e inventare nuove forme, nuovi colori, invenzioni genuine.”

Parole presenti nella sua autobiografia Vita d’Artista, in cui aggiunge che: “l’invenzione genuina risulta incomprensibile a chi non ha senso dell’eroico. Pochi privilegiati la possono intuire, gli altri, impotenti, con maligne arti la combattono. In questo caso si tratta di oscurantismo…”. Queste poche righe riassumono la delusione e l’amarezza dell’artista nei confronti dell’avversa, o quanto meno indifferente, critica italiana, che, a partire dagli anni Trenta, non vuole, o non sa, riconoscerne l’originalità e l’autonomia creativa.


Fortunatamente la sua opera ha trovato la giusta collocazione a partire dal 1974, dapprima all’interno della Pinacoteca al piano nobile del Palazzo di via Garibaldi oggi Biblioteca Comunale fino a quando, nel 1994, la collezione è passata alla sede attuale: l’ultimo piano di Palazzo Foscolo ad Oderzo.

Emanuela Borgatta Dunnett