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Il Vate in Piemonte

Sulle tracce della presenza e dei legami di Gabriele D’Annunzio in terra piemontese

Emanuela Borgatta
Emanuela Borgatta

06.07.2022

Nata a Torino, è insegnante di lingue straniere, bibliofila e collaboratrice esterna per diverse riviste. Da anni si occupa di cultura e spettacolo, con un occhio di riguardo rivolto alle arti figurative. Ama leggere, visitare mostre, recarsi a teatro e viaggiare, mossa dall’eterna scoperta di luoghi ed eventi da narrare, convinta che immagini e parole abbiano un valore intrinseco inestimabile, da continuare a rispettare e divulgare.

  

Un viaggio a ritroso, sulle tracce lasciate da Gabriele D’Annunzio in Italia è arduo. Le molteplici soste e le innumerevoli missive spedite a centinaia di destinatari rendono ostico qualsiasi tipo di resoconto. Tuttavia, i rapporti con Torino e il Piemonte rappresentano un terreno meno battuto e, proprio per questo, entusiasmante da percorrere alla scoperta delle mille sfaccettature del mito dannunziano. 

Tartufi e tramezzini

Partiamo dal leggendario appetito dannunziano e dal motivo che lo lega, indissolubilmente, al Piemonte. Immaginiamo il Poeta, in visita a Torino nel 1925, seduto a un tavolo dell’appena aperto Bar Mulassano in Piazza Castello, intento a bere un vermouth accompagnato dagli adorati marron glacé e dai piccoli tea sandwich, la cui fama viene importata dall’America dai proprietari e coniugi Angela Demichelis e Onorino Nebiolo (di origini torinesi) appena tornati dagli Stati Uniti. Il Vate, tuttavia, non si accontenta (fedele alla sua abilità di coniare neologismi) di chiamarli all’americana come vorrebbe la Demichelis e inventa il termine tramezzino, probabilmente ispirandosi al tramezzo del soffitto della casa natia di Pescara, vedendolo come delizioso momento di stacco, fra i pasti principali.

L’amore per i prodotti tipici piemontesi in D’Annunzio non si ferma, però, al Caffè Mulassano e al tramezzino, ma passa per le già citate castagne glassate, fino a giungere all’imprescindibile tartufo, accuratamente scelto per non mancare mai sulle suntuose tavole del Vittoriale degli Italiani a Gardone Riviera, per arricchire la ricetta di cui era ghiotto: pernice fredda in gelatina. Tuttavia, le tavole imbandite venivano lasciate agli ospiti, poiché D’Annunzio considerava il cibarsi un atto intimo e inelegante che preferiva portare a compimento nella solitudine del suo studio.

La cucina del Vittoriale.
La cucina del Vittoriale.

Cimeli dannunziani in Piemonte

L’originale excursus piemontese alla ricerca di tracce dannunziane “tangibili” inizia al Museo del Risorgimento di Torino, il quale espone uno splendido ritratto fotografico del Vate ad opera di Mario Nunes Vais del 1906, utilizzato dai Fratelli Treves Editori per pubblicizzarne le opere. Si prosegue con il Bistrot del Ristorante Carignano, le cui tovagliette riportano celebri messaggi lasciati sul libro firme dell’Hotel Sitea (di cui fa parte). In questo modo, scopriamo un’accorata missiva del Vate destinata alla splendida attrice vastese Elena Sangro, con preghiera di inviargli una parola e di rivedersi presto. Prima di lasciare il centro del capoluogo piemontese, è bene concedersi una pausa per ammirare la collezione del Museo della Reale Mutua, il quale espone la polizza autografa di D’Annunzio, fra i tanti oggetti di interesse storico. Utile anche un salto all’Associazione Volontari di Guerra, di cui D’Annunzio fu Comandante d’Onore, per osservare lo scritto tramite il quale affidò ai Volontari di Guerra la Bandiera di Spalato.

Museo Nazionale del Risorgimento Italiano (foto © Gianni Careddu).
Museo Nazionale del Risorgimento Italiano (foto © Gianni Careddu).

Spostandosi sulla collina, si raggiunge il Parco della Rimembranza, dal quale godere – in giornate terse – di una splendida vista sulla città e la catena delle Alpi. Il fulcro d’interesse si trova al centro del parco stesso, rappresentato dal maestoso monumento, noto come Faro della Vittoria o Faro della Maddalena, opera scultorea in bronzo nata per mano di Edoardo Rubino e commissionatagli – nel 1928 – da Giovanni Agnelli. Il Senatore lo donò alla città in occasione del decimo anniversario della vittoria dell’Italia nella Prima guerra mondiale e riporta un’accorata epigrafe di D’Annunzio, sulla facciata del basamento. Per finire, allargando il raggio d’azione alla provincia, è possibile ammirare cimeli molto interessanti al Museo dell’Artiglieria di Pinerolo, che ne celebra le gesta eroiche con particolare riguardo al Volo su Vienna del 1918, esponendo fotografie d’epoca.

Faro della Vittoria con epigrafe (foto © Luigi Chiesa e Gianni Careddu).

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D’Annunzio e Cabiria

Ricca di interesse, in questo percorso dannunziano è, altresì, la collezione del Museo del Cinema di Torino, con un’intera sezione dedicata al film Cabiria. Realizzato tra il 1913 e il 1914, è da considerarsi come il primo blockbuster della storia del cinema in costume. Trionfo della messa in scena in cui si fondono macchina da presa e arti in toto, accostando elementi musicali, letterari, pittorici e architettonici. Il Museo del Cinema, oltre a un ricco allestimento, possiede la più grande raccolta di materiali in merito e ha curato il restauro delle copie sonorizzate del 1931 (non risultano copie della versione originale del 1914), versione presentata nel 2006 a conclusione delle Olimpiadi della Cultura, per poi essere proiettata in tutto il mondo.

Il kolossal diretto da Giovanni Pastrone – interamente girato a Torino per il costo, stratosferico per l’epoca, di un milione di lire – venne ideato seguendo il principio dannunziano dell’avvicinare cultura borghese e popolare, aggiungendo alla pellicola delle didascalie letterarie per le quali Pastrone stesso volle al suo fianco il Vate. D’Annunzio accettò, poiché già sommerso dai debiti, e iniziò con la scelta del titolo, Cabiria (nata dal fuoco) proseguendo con la cernita di termini aulici per le didascalie, in modo da donare al grande pubblico un’esperienza unica nel suo genere. Dannunziana anche l’idea di utilizzare una pregevole xilografia dell’amato pittore De Carolis per il libretto d’accompagnamento al film, raffigurante un cavallo azzannato da un lupo, simboli di Cartagine e Roma. Oltre alle “didascalie vergate” (così definite dal Poeta), D’Annunzio contribuì – per la prima volta nella storia del cinema – alla realizzazione delle musiche che avrebbero accompagnato l’intera trama.

Una delle locandine di Cabiria.
Una delle locandine di Cabiria.

In scena

Analizzando ora i passaggi fisici del Vate nella regione piemontese, si parte dal più celebre, benché remoto, soggiorno di D’Annunzio a Torino risalente al 1901 per la prima assoluta della presentazione della Canzone di Garibaldi. Torino, culla del Risorgimento, salutava a gran voce il Vate per celebrare quello che si annunciava essere il “poema epico nazionale” per eccellenza. Visto come il primo e più importante avvenimento del Secolo, venne largamente commentato dal quotidiano La Stampa. La Notte di Caprera è, infatti, una narrazione epica di presa popolare, resa ancor più leggendaria dalla lettura dell’autore stesso, tenutasi al Teatro Regio di Torino, dove venne accolto vivacemente dal pubblico, ammaliato dal fascino del divo che sempre lo contraddistinse e dalle liriche mitologiche da lui ideate.

Il poeta abruzzese tornerà sulle assi del Regio un anno dopo per la terza presentazione nazionale della Francesca da Rimini, dopo Roma e Firenze. Evento del tutto fuori dal comune, in vero stile dannunziano, poiché decise di prendere alloggio all’Hotel d’Europe in Piazza Castello, insieme a Eleonora Duse (all’epoca sua compagna e interprete della pièce) e qui ricevette l’intellighenzia torinese, preparandosi a dirigere lui stesso le prove dello spettacolo. Rappresentazione che si rivelò un successo immediato, con una prima gremita a tal punto da necessitare di sedie aggiuntive.

La collaborazione con i teatri torinesi prosegue con La Figlia di Iorio (musicata con il torinese Alberto Franchetti) Il Ferro, il quale ebbe la sua prima al Teatro Carignano di Torino il 27 gennaio 1914. Dai critici considerato il miglior teatro dannunziano, recensito per La Stampa da Domenico Laura, che ne elogiò lo stile squisitamente lirico, l’interpretazione di Nera Carini e le quindici chiamate al proscenio.

Eleonora Duse ritratta dal fotografo Aimé Dupont nel 1896.
Eleonora Duse ritratta dal fotografo Aimé Dupont nel 1896.

Le amicizie con gli scultori piemontesi

I rapporti di D’Annunzio con il Piemonte non si fermarono a registi e musicisti, ma coinvolsero anche scultori di fama, a partire da Leonardo Bistolfi, autore del Crocefisso Brayda (1901, Tomba Brayda di Villarbasse), lavoro fuso in bronzo e donato a D’Annunzio per essere collocato sul Colle degli Eroi, al Mausoleo del Vittoriale, ma consegnato e posizionato solo dopo la morte del Poeta, il 3 aprile 1938. Il Mausoleo si trova alla sommità della dimora di Gardone Riviera ed è stato realizzato dall’architetto bresciano Giancarlo Maroni alla morte di D’Annunzio, in stile etrusco-romano. È costituito da tre gironi a rappresentare le vittorie degli Ultimi, degli Artieri e degli Eroi e la salma del Poeta giace al centro, attorniata dai legionari fiumani a lui più vicini. All’interno del Mausoleo, a sottolineare il massimo raccoglimento per i visitatori, è posto il crocefisso del Bistolfi, eterno custode del ricordo di eroiche gesta.

Il Vittoriale degli Italiani il Mausoleo posto alla sua sommità.

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La Madonna della Pace, sempre ad opera del Bistolfi è, invece, conservata nella Stanza del Lebbroso del Vittoriale, dove riprende mirabilmente il dipinto di Guido Cadorini alle sue spalle, raffigurante D’Annunzio nudo e monocolo. La posizione della Madonna bronzea colta nello stesso gesto riservato al Bambino Gesù è voluta ed è da leggersi in concerto con l’Annunciazione, posta sopra al letto. Il sodalizio, poco vissuto di persona fra i due artisti celava, tuttavia, un grande affetto, come dimostrano le parole di Bistolfi in una lettera del 1923, nella quale gli si rivolse come: “Mio grande e amato fratello […]”. La reciproca stima risaliva al 1905, anno in cui D’Annunzio, in occasione della Personale dello scultore alla Biennale di Venezia, si sperticò in lodi elogiando la sua arte con un sonetto dedicatogli.

Il rapporto privilegiato tra D’Annunzio e gli scultori operanti in Piemonte, coinvolse anche un collaboratore assiduo del già citato Rubino: Gaetano Orsolini. A testimonianza dei loro svariati contatti anche una foto d’epoca, custodita in un archivio privato di Montegiorgio (città natale di Orsolini), la quale mostra i due scultori in studio con D’Annunzio. Proprio durante questi incontri nacque la piccola statua in bronzo, raffigurante il Poeta e custodita a Montegiorgio che lo raffigura in tutto il suo intramontabile fascino, elegantemente abbigliato e con il capo rivolto verso lo spettatore, sfrontato e senza timore alcuno.

Il verbanese Paolo Trubetzkoy, invece, ebbe modo di conoscere D’Annunzio a fine Ottocento, grazie a un articolo del Vate su Il Messaggero, in cui il Poeta elogiava la sua effige di Garibaldi. Restio per natura a quanto riportato dalla carta stampata, Trubetzkoy decise di conoscere D’Annunzio in ogni caso, instaurando con lui una duratura amicizia e realizzandone un ritratto scultoreo nel 1892, straordinario lavoro dalle fini trame psicologiche, in grado di cogliere la profondità dello sguardo penetrante e inquisitore del Poeta, con il tipico guizzo malizioso e nostalgico. Al Museo del Paesaggio di Verbania, dove risiede la Gipsoteca Trubetzkoy, è possibile ammirare – altresì – un secondo ritratto a figura intera, eseguito a Parigi, dove lo scrittore si era stabilito per fuggire dai creditori. Il nuovo incontro con lo scultore avvenne, presumibilmente, nel 1911 alla rappresentazione francese del dramma dannunziano: Il Martirio di San Sebastiano.

Busto di Gabriele D'Annunzio, Trubetzkoy, 1892. Vittoriale degli italiani, Gardone Riviera. Foto di Paolo Monti, 1969.
Busto di Gabriele D’Annunzio, Trubetzkoy, 1892. Vittoriale degli italiani, Gardone Riviera. Foto di Paolo Monti, 1969.

Motori ruggenti e “questioni di genere”

Al di là, del suo coinvolgimento nell’entourage delle arti, D’Annunzio amò profondamente il Piemonte, anche grazie alle automobili FIAT. Nel 1915, infatti, salì per prima volta sulla FIAT Torpedo T4, color rosso e – l’11 settembre 1919 – raggiunse Ronchi come tenente colonnello. In quegli anni nacque un amore viscerale per i prodotti dell’azienda torinese e un fitto rapporto epistolare con il già citato senatore Agnelli. Tuttavia, in occasione della Mille Miglia del 2019 a Imola, tornò a galla un dibattito risolto dalla brillante penna del Vate all’inizio del XX Secolo, quando le prime automobili macinavano chilometri ed erano vittime di una certa confusione grammaticale riguardo al loro genere. “Automobile” è un lemma entrato a far parte del vocabolario italiano grazie a un termine francese che, in quanto aggettivo, poteva essere concordato al maschile e al femminile; ma i problemi lessicali si presentarono a fine Ottocento, quando si iniziò a usarlo come sostantivo. D’Annunzio, intervenne, come spesso accadeva, e riuscì a plasmare la pubblica opinione con una lettera al Corriere della Sera, datata 27 ottobre 1923 e indirizzata proprio al Senatore Agnelli:

Mio caro Senatore,
in questo momento ritorno dal mio campo di Desenzano, con la Sua macchina che mi sembra risolvere la questione del sesso già dibattuta. L’Automobile è femminile. Questa ha la grazia, la snellezza, la vivacità d’una seduttrice; ha, inoltre, una virtù ignota alle donne: la perfetta obbedienza. Ma, per contro, delle donne ha la disinvolta levità nel superare ogni scabrezza. Inclinata progreditur. Le sono riconoscentissimo di questo dono elegante e preciso. Ogni particolare è curato col più sicuro gusto, secondo la tradizione del vero artiere italiano. Per consacrare l’accertamento del genere masc. o fem., ormai determinato dalla novissima macchina, Mastro Paragon Coppella, orafo del Vittoriale, osa offerire alla Sua figliuola e alla Sua nuora questi infallibili talismani.
Le stringo la mano.
Il Suo Gabriele d’Annunzio
Il Vittoriale. 18 febbraio 1920

La Fiat Torpedo T4 di colore rosso.
La Fiat Torpedo T4 di colore rosso.

Ennesima prodezza linguistica che chiude la questione in un sol colpo e concentra, in poche righe, le passioni più sentite di D’Annunzio: i motori, la lingua italiana e il gentil sesso.

La FIAT, ad ogni modo, non fu l’unica industria di automobili vicina al cuore del Vate, il quale possedette anche una Alfa Romeo 6C 2300. Modello unico e personalizzato, costruito nel 1932, griffato da Vittorio Jano, progettista di San Giorgio Canavese, noto per il suo eclettismo. A D’Annunzio giunse nel 1935 e la utilizzò negli ultimi tre anni di vita per ricevere gli ospiti di Gardone, in arrivo dalla stazione di Desenzano. Inoltre, vi fece decorare, da Marussing, la traslazione della Santa Casa della Madonna di Loreto (patrona dell’aviazione) e la ribattezzò: Soffio di Satana. Battuta all’asta nel 2019 per circa mezzo milione di euro, è rientrata al Vittoriale nello stesso anno, a confluire nel recente museo L’Automobile è Femmina, nato nel 2017 per ospitare anche la già citata T4, nonché l’Isotta Franchini Tipo 8B.

La famosa Alfa Romeo 6C 2300
La famosa Alfa Romeo 6C 2300 “Soffio di Satana”.

Il principe di Montenevoso

In questo lungo itinerario dannunziano non poteva mancare un accenno agli assidui incontri e scambi epistolari con Casa Savoia, in particolare con Vittorio Emanuele III, il quale creò per il Vate un titolo nobiliare motu proprio per sottolineare l’importanza delle di lui gesta militari: “Principe di Montenevoso” (dall’omonimo monte sloveno). Il titolo venne concesso in data 15 marzo 1924, giorno scelto in onore dell’annessione di Fiume all’Italia. Uno dei tanti momenti-simbolo di un letterato, militare e trendsetter ante litteram che, ancora oggi, è in grado di appassionare, nello svelare dettagli inediti del suo vivere inimitabile.

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Bibliografia

  • AA.VV., Bistolfi 1859-1933 Il percorso di uno scultore simbolista, Casale Monferrato, Edizioni Piemme, 1984.
  • AA.VV., Gli Scultori di d’Annunzio – Anima e Materia, Milano, Silvana Editoriale, 2015.
  • AA.VV., Paolo Trubetzkoy – La Collezione del Museo del Paesaggio, Gravellona Toce, Pressgrafica, 2017.
  • Viglongo V., Gabriele d’Annunzio e Torino – Città pensosa e vigile su le porte d’Italia, Torino, Associazione Piemontese Studi Filologici, 1964.
  • Emanuela Borgatta sta ultimando un volume di prossima pubblicazione, riguardante le connessioni tra d’Annunzio e il Piemonte.
    SITOGRAFIA
  • https://www.vittoriale.it/https://www.museocinema.it/it

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l MUSLI, un museo a misura di bambino

Il Museo della Scuola e del Libro per l’Infanzia tra passato e presente

Emanuela Borgatta
Emanuela Borgatta

18.05.2022

Nata a Torino, è insegnante di lingue straniere, bibliofila e collaboratrice esterna per diverse riviste. Da anni si occupa di cultura e spettacolo, con un occhio di riguardo rivolto alle arti figurative. Ama leggere, visitare mostre, recarsi a teatro e viaggiare, mossa dall’eterna scoperta di luoghi ed eventi da narrare, convinta che immagini e parole abbiano un valore intrinseco inestimabile, da continuare a rispettare e divulgare.

  

A Torino, in via Corte d’Appello, è possibile varcare una porta che consente di viaggiare indietro nel tempo. Il MUSLI (Museo della Scuola e del Libro per l’Infanzia), ubicato in uno dei quartieri più suggestivi della città, è pronto ad accogliere grandi e piccini all’interno di ambienti tematici che racchiudono tesori inattesi riguardanti l’istruzione e la narrativa per l’infanzia.

Due percorsi complementari

Il Museo è la principale emanazione della Fondazione Tancredi di Barolo ed è nato come punto di riferimento per diffondere la storia dell’educazione e dell’editoria rivolta ai più piccini a livello regionale, nazionale e internazionale. Al suo interno, è possibile seguire due itinerari di visita complementari, pur nella loro unicità. Il “Percorso Scuola” vuole evidenziare le caratteristiche della realtà scolastica giornaliera di fine Ottocento e inizio Novecento (talvolta con l’ausilio di attori a ricreare una tipica giornata d’epoca) tra aule, giochi, libri e materiali didattici distribuiti su quattro piani in un’ala dello storico Palazzo Barolo. La valorizzazione del vasto patrimonio museale testimonia l’evolversi del percorso educativo, soffermandosi sulle figure dei Marchesi di Barolo, nonché sull’idea di scuola tramandata ai posteri dal libro Cuore.

Alcune sale e interni del Percorso Scuola.

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Il “Percorso Libro,” invece, consente la scoperta di molteplici aspetti della letteratura per l’infanzia, evidenziando caratteristiche dimenticate e poco note, in una vera e propria wunderkammer che si snoda tra pop-up, preziose edizioni e postazioni interattive. Tuttavia, l’incanto di questa ‘traversata’ storica ha i piedi ben saldi nel presente e volge lo sguardo al futuro ogni qual volta il museo acquisisce nuovo materiale o sviluppa percorsi tematici, poiché il MUSLI non mostra esclusivamente la disamina di un’epoca, ma è anche attento organizzatore di eventi ad hoc fruibili di persona e online, che spaziano dall’iconografia dantesca alla riscoperta dei giornalini scolastici. Attività per scolaresche e famiglie uniche nel loro genere, dove ci si trasforma, ad esempio, in artisti alle prese con la creazione di pop-up o in diligenti scolaretti al cospetto di esercizi di calligrafia.

Alcune sale e interni del Percorso Libro.

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Giulia di Barolo, attenta ai più bisognosi

Impossibile dedicare un approfondimento al Museo della Scuola e del Libro per l’Infanzia senza partire da colei che fu l’anima stessa di Palazzo Barolo. Personaggio al quale la scuola, come oggi la conosciamo, deve molto: Giulia Vittorina Colbert da Maulévrier (successivamente Giulia di Barolo), nata il 26 giugno 1786 da un’antica famiglia della nobiltà francese, fin da piccola mostra un’intelligenza vivace e brillante e riceve l’educazione solida e raffinata tipica dell’aristocrazia dell’epoca. Alla corte di Napoleone, conosce Carlo Tancredi Falletti, il quale proviene da una delle famiglie più abbienti e importanti del Piemonte sabaudo e, come Giulia, sua futura consorte, è enormemente interessato agli studi e alla letteratura più che alle armi, arrivando a pubblicare novelle e testi religiosi.

La coppia convola a nozze il 18 agosto 1806 a Parigi e da subito mostra una profonda unione d’intenti, trovando in carità e dedizione il senso stesso della loro esistenza. Le opere dei marchesi si muovono su diversi fronti e Giulia inizia subito a interessarsi profondamente alla situazione femminile nelle carceri e, mettendo a frutto il prestigio della famiglia, si muove per migliorarne le condizioni e istituire le “Sorelle Penitenti di Santa Maria Maddalena”, organizzazione atta ad accogliere donne desiderose di dedicare la propria vita a Dio. Le donne, i bambini e i poveri ebbero, infatti, sempre un ruolo d’onore nella vita dei coniugi e “L’Opera Pia Barolo”, ente preposto alla continuazione dei loro desiderata, fu istituita con atto testamentario a seguito della morte della Marchesa, avvenuta il 19 gennaio 1864. Oggi il museo dedicato a Giulia è visitabile, previo appuntamento, in via Cigna, presso le Figlie di Gesù Buon Pastore dove, in una suggestiva sala interna, sono esposti abiti e oggetti a lei appartenuti, riproduzioni di bozzetti e carteggi (benché ridotti, poiché fu suo volere che venissero distrutti alla sua morte).

Giulia Colbert di Barolo
Giulia Colbert di Barolo

La dimora di Palazzo Barolo

L’attuale sede dell’Opera Barolo è il già citato Palazzo Barolo. Costruito a fine Seicento da Gian Francesco Baroncelli come ristrutturazione della dimora del conte Ottavio Provana, passa in eredità ai Falletti di Barolo nel 1727 fino ad arrivare a Giulia e Carlo che estinguono il casato ma ne fanno uno dei salotti culturali più in voga del tempo, frequentato anche da Camillo Benso Conte di Cavour, legato da fraterna e profonda amicizia alla Marchesa. Nota di riguardo merita, altresì, il più illustre dei loro ospiti, del quale è possibile visitare gli appartamenti. Stiamo parlando di Silvio Pellico, il quale si traferì a Palazzo Barolo, a seguito della pubblicazione de Le Mie Prigioni nel 1832 e mantenne con i Falletti di Barolo un legame indissolubile.

Palazzo Barolo è una delle dimore nobiliari meglio conservate del territorio piemontese. Situato in pieno centro a Torino, è noto per il maestoso atrio, lo scalone a forbice, la volta dipinta da Matteo Bartolini e i suggestivi appartamenti, meritevoli di approfondimento con visita guidata. L’odierno splendore è frutto dei lavori di restauro avviati nel 2012 e, dopo averne ammirate le collezioni d’arte, è un piacere ritrovarsi all’interno dell’ala che ospita il Museo al centro del nostro approfondimento.

Ingresso di Palazzo Barolo.
Ingresso di Palazzo Barolo.

Il patrimonio bibliografico

Il MUSLI, ricco di fondi librari, documentari e iconografici vuole tratteggiare la storia della scuola e dell’editoria per ragazzi negli ultimi due secoli. Aperto nel 2002 grazie ai materiali donati da Marilena e Pompeo Vagliani i quali, dopo l’incontro con l’Opera Barolo un paio di anni prima, danno vita a una Fondazione nello stile dei marchesi Falletti e in accordo con la storia del palazzo che fu sede di asili e di una tipografia storica (la Tipografia Eredi Botta, ricordata nell’allestimento del Museo).

Nasce così anche la biblioteca ideale dei Vagliani che trae le sue origini dagli studi di Pompeo, immediatamente affascinato dal fiabesco durante gli anni universitari. Oggi è il cuore che alimenta il Centro Studi e il Museo con circa 20.000 libri scolastici e per l‘infanzia da fine Settecento a metà Novecento, provenienti da tutti i Paesi europei. Volumi da conservare e catalogare (lavoro costantemente in essere) e consultabili su prenotazione. Il patrimonio bibliografico del Museo è inestimabile ed è al centro di una ricerca indefessa ma è – al contempo – da considerarsi come un lunapark e un labirinto (secondo le parole di Vagliani stesso) dove gli itinerari si sovrappongono.

Lo studio di Innocenzo Vigliardi Paravia ricostruito all’interno delle sale della Biblioteca.
Lo studio di Innocenzo Vigliardi Paravia ricostruito all’interno delle sale della Biblioteca.

Sui banchi dell’Ottocento

Il percorso museale è stato costruito in un’ala di Palazzo Barolo risalente alla prima costruzione dell’edificio, all’epoca destinata alla servitù. Ambienti raccolti e accoglienti che si affacciano su un incantevole cortile interno che dà al visitatore la sensazione di veder sbucare l’Alice di Lewis Carroll da un momento all’altro. L’itinerario si snoda su diversi piani, quasi a evocare le sfide del percorso scolastico degli allievi, per avvicinare gli studenti di ieri a quelli di oggi con un occhio di riguardo costantemente volto a Torino e al Piemonte. Il MUSLI non vuole semplicemente mostrare ma coinvolgere grandi e piccini in un viaggio a tutto tondo, idealmente guidato dai Marchesi, ancora oggi.

Partendo dal cortile della ricreazione scopriamo i giochi tipici che si svolgevano all’aperto per poi salire verso l’aula interamente realizzata seguendo le descrizioni contenute nel libro Cuore di De Amicis (1886). La stanza ricrea il clima di fine Ottocento, riferendosi in particolare all’anno scolastico preso in considerazione dall’autore: il 1881–1882. I banchi appartengono all’Opera Pia Barolo e sono oggetti d’epoca con seduta a quattro posti, in parte con ribaltina per riporre gli oggetti e in parte a piano fisso con calamaio. Lavagna, cartelle e stufa ci avvolgono in un manto nostalgico per qualche istante, prima di riportarci all’ordine con il Regolamento delle scuole comunali di Torino del 1879, il quale prescriveva l’affissione del ritratto di Vittorio Emanuele II, un crocefisso, il sistema metrico decimale, la cartina dell’Italia, nonché aggiornamenti su festività e orari. Orari che non comprendevano il giovedì (all’epoca festivo), poiché lo Stato riteneva di venire incontro agli allievi stabilendo che non potessero esserci quattro giorni successivi di lezione, senza una pausa infrasettimanale.

L’aula realizzata secondo le descrizioni del libro
L’aula realizzata secondo le descrizioni del libro “Cuore” di De Amicis.

L’Armadio Scuola

Ma le sorprese non sono finite! Nella stanza adiacente troviamo L’Armadio Scuola, splendido allestimento contenente volumi d’epoca destinati a maestri e scolari, con particolare riguardo a premi e punizioni per bambini più o meno meritevoli. Risalendo le scale, accompagnati dalla mappa di Torino del 1882 sulla quale è possibile localizzare gli istituti scolastici dell’epoca, giungiamo al piano nobile direttamente collegato agli appartamenti dei Marchesi e di Pellico, soffermandoci nella Camera dei Bambini atta a raccontare il ritorno da scuola con volumi di amena lettura e testi scolastici, senza dimenticare bambole e soldatini. Alle pareti, notiamo la pregevole litografia di Auguste Toulmouche del 1864, intitolata La prière, raffigurante il raccoglimento serale tra madre e figlio, intenti nella preghiera.

Momenti preziosi vengono spesi anche nell’ammirare le splendide ricostruzioni della sala d’asilo e dell’aula di primo Novecento con un discreto salto temporale che ci permette di soffermarci su un banco monoposto d’epoca, con porta calamaio e seduta regolabile, nonché sull’armadio-biblioteca in stile liberty. Inoltre, prima di avvinarci all’uscita, c’è ancora tempo per apprezzare guide didattiche finalizzate all’apprendimento della bella scrittura e svariati esemplari di pennini.

L'Armadio Scuola
L’Armadio Scuola

Libri per tutti

Il Percorso Libro, invece, si snoda al piano terra a valorizzare il fondo storico d’appartenenza, arricchito da tavole originali della casa editrice SEI di Torino e da costanti nuove acquisizioni. L’Editrice SEI è ospite all’interno del Museo poiché in possesso di un pregevole archivio di illustrazioni originali che ha dato modo al MUSLI di esporre circa settanta lavori del periodo d’oro tra Liberty e Novecento di autori quali Carpanetto, Carnevali e Porcheddu, solo per citarne alcuni. All’interno degli ambienti, viene dato grande risalto anche agli oli di Giovan Battista Galizzi dedicati all’edizione di Pinocchio del 1942.

Illustrazione sulla copertina del
Illustrazione sulla copertina del “Pinocchio” del 1942.

Il viaggio prosegue scendendo nelle cantine storiche del Palazzo dove ci troviamo al cospetto del suggestivo ambiente destinato ai libri animati ad al pre-cinema, con una prima parte dedicata alle trasparenze e alle vedute ottiche: tavole che, se illuminate, rivelano forme sottostanti. Seguono libri a trascinamento, a dissolvenza, metamorfici, di sollevamento o dotati di apposite volvelle (meccanismi costituiti da uno o più dischi solitamente di carta, sovrapposti e fissati alla pagina attraverso un perno, per far sì che ciascun disco ruoti liberamente sull’asse centrale), accompagnati da video con finalità didattiche per mostrarci i segreti dei maccanismi racchiusi nei volumi. Svariate le chicche presenti. Uno fra tutti, il primo libro animato pubblicato dai Fratelli Treves nel 1890: Groppino in cerca di Fortuna, dotato di leveraggio brevettato. Passando a libri-teatro posti su apposite teche per poterne godere appieno i dettagli e a volumi anatomici e scientifici con tavole scomponibili.

Mostre e iniziative

Impossibile citare tutte le iniziative promosse dal MUSLI nel corso degli anni ma possiamo soffermarci sulla collana Children’s Literature, nata dalla collaborazione tra L’Artistica Editrice in Savigliano e la Fondazione, la quale comprende la riedizione di quattro fiabe illustrate mirabilmente da Walter CranePuss in Boots (Il Gatto con gli Stivali), Cinderella (Cenerentola), The Sleeping Beauty (La Bella Addormentata) e Bluebeard (Barbablù). Il progetto, di grande valore artistico e didattico, accompagna i disegni di Crane già volti alla stimolazione cognitiva dei bambini, con testi adattati, traduzioni ed esercizi creati dalla professoressa Carmen Concilio e ha dato vita a un laboratorio dedicato da parte del MUSLI.

La collana
La collana “Children’s Literature”.

Scandagliando le innumerevoli mostre e i prestiti in Italia e all’estero, arriviamo ai progetti più recenti come il Children’s Literature in Italy il quale coinvolge una comunità di studiosi di letteratura per l’infanzia, costruendo un canale per diffondere informazioni su progetti, pubblicazioni e ricerche. Il lavoro svolto dalla Fondazione viene diffuso tramite il sito web e i canali social in costante aggiornamento. Inoltre, anche nel 2022, il Museo intende proseguire le celebrazioni dantesche, portando avanti l’iniziativa La Piccina Commedia. Dante e i ragazzi tra divulgazione e ricreazione con un ampio progetto di ricerca che verrà pubblicato in un volume a cura di Pompeo Vagliani e Luciana Pasino e presentato nella primavera del 2022 presso il Circolo dei Lettori di Torino.

Le bibliotechine di Zia Mariù

Non dimentichiamo l’ampio fondo archivistico dedicato a Paola Lombroso Carrara, nota come Zia Mariù, scrittrice per bambini, ideatrice del Corriere dei Piccoli e di oltre mille bibliotechine scolastiche rurali. Nel 2021, in occasione del centocinquantenario della nascita, il fondo è stato interamente inventariato e in parte digitalizzato per renderlo fruibile a tutti sul sito della Fondazione Tancredi di Barolo. Il progetto delle bibliotechine di Zia Mariù ebbe inizio nel 1909. Paola Lombroso si occupava, all’epoca, della corrispondenza del Corriere dei Piccoli e, in un’occasione, venne interpellata da una maestra che le richiese libri di amena lettura per i propri allievi meno abbienti.https://www.youtube.com/embed/z15ZTs_oJm8?start=139s&rel=0&showinfo=0Storia delle bibliotechine di zia Mariù.

Il piano prese subito forma e si decise per la creazione di bibliotechine contenenti ognuna dieci titoli regalati o acquistati grazie a donazioni, per avvicinare tutti i bimbi alla carta stampata. Ne nacquero, così, mille in tre anni e sono alla base di questo fondo composto da documenti, registri, quaderni, rubriche e schede su cui sono annotati tutti i dettagli delle mini realtà bibliotecarie. Particolare rilievo viene dato al Bollettino delle bibliotechine rurali tenuto dalla Lombroso dal 1912 al 1953, il quale consente un punto di vista privilegiato su anni che furono cruciali per la storia della cultura del nostro Paese e lo fa attraverso la fitta rete di sostenitori, letterati e artisti che collaborarono al progetto di Paola.

Il MUSLI, tuttavia, non può essere narrato nel suo complesso. Va vissuto durante le ricche visite guidate, nella sua totalità, ritrovando tesori e scoprendone di nuovi a ogni passaggio.

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Bibliografia

  • Accigliano W., Molino B., Vacchetto P., I Falletti di Barolo. Il luogo ed il loro castello principale, Bra, Officine Grafiche della Comunecazione, 2010.
  • Vagliani P., Il viaggio incantato. Guida al Museo della Scuola e del Libro per l’Infanzia di Palazzo Barolo, Carmagnola, CLS Arti Grafiche, 2016.
  • SITOGRAFIA: www.fondazionetancredidibarolo.com

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L’Accademia Albertina, tra arte e didattica

Una delle più antiche istituzioni culturali piemontesi

Accademia Albertina, scalone monumentale (© foto Fabio Amerio).

Emanuela Borgatta
Emanuela Borgatta

07.06.2023

Nata a Torino, è insegnante di lingue straniere, bibliofila e collaboratrice esterna per diverse riviste. Da anni si occupa di cultura e spettacolo, con un occhio di riguardo rivolto alle arti figurative. Ama leggere, visitare mostre, recarsi a teatro e viaggiare, mossa dall’eterna scoperta di luoghi ed eventi da narrare, convinta che immagini e parole abbiano un valore intrinseco inestimabile, da continuare a rispettare e divulgare.

  

L’identità della città di Torino è indissolubilmente legata all’Accademia Albertina di Belle Arti.

Percorrendo via Po (partendo da piazza Castello) si raggiunge via Accademia Albertina, oltrepassando il Palazzo del Rettorato, per un vero e proprio tuffo nel passato accademico della città. Passato che, da secoli, porge il fianco al presente, sostenendolo con i suoi prestigiosi atenei.

L’Albertina, il cui nome sottolinea il legame con il suo più grande “rifondatore”, Carlo Alberto di Savoia, ha origini che risalgono al primo Seicento. Nei secoli, la sua storica sede ha ospitato insegnanti e allievi di rilievo e importanza internazionali, alimentando un clima di costante rinnovamento che l’ha contraddistinta anche come realtà museale di spicco della città.

L’istituzione è, infatti, da osservare nel suo armonico insieme, che vede viaggiare di pari passo corsi di studi artistici all’avanguardia con la realizzazione di mostre di alto livello, create al fine di far dialogare il proprio accaduto con quello delle nuove “leve” della scena artistica.

Accademia Albertina. Fotografia di Dario Lanzardo, 2010 (© MuseoTorino).
Accademia Albertina. Fotografia di Dario Lanzardo, 2010 (© MuseoTorino).

Dall’istituzione al corpo docente

La storia dell’Accademia inizia nel 1652, quando l’Università dei Pittori, Scultori e Architetti di Torino ottenne dall’Arcivescovo l’uso della cappella di Santa Lucia (protettrice dei pittori), all’interno della Cattedrale di San Giovanni. Venne a crearsi, in questo modo, la Compagnia di San Luca, aggregata all’omonima Accademia romana. La compagnia proseguì le proprie attività per oltre un ventennio finché, con documento datato 29 agosto 1678, la duchessa reggente Maria Giovanna Battista di Savoia Nemours istituì l’accademia dei pittori scultori e architetti con l’intento di creare un polo che sarebbe stato d’aiuto a Stato e allievi, seguendo l’esempio dell’Académie Royale. Proprio come per l’accademia francese, infatti, il diploma dava diritto alla protezione Sovrana.

Gli Statuti Costituenti sono successivi ed è datata 10 aprile 1778 la fondazione della Reale Accademia di Pittura e Scultura, come parte della politica di rinnovamento culturale messa in atto da Vittorio Amedeo III. Secondo il suo volere, l’anno scolastico si svolgeva da novembre ad agosto e si dipanava tra i concorsi minori e il “gran concorso”, il quale prevedeva che le opere vincenti rimanessero all’Accademia. Occorrerà, tuttavia, attendere il regno di Carlo Alberto, il quale diede una serie di disposizioni di grande respiro a conferma del proprio potere politico. Così, nel 1832 aprì al pubblico la Reale Pinacoteca, nominando Roberto D’Azeglio direttore delle collezioni d’arte dei reali palazzi, il quale divenne in questo modo l’anima pulsante dei futuri cambiamenti, a partire dalla data cruciale del 1833, anno della donazione da parte di Carlo Alberto dell’attuale sede in via Accademia Albertina.

Accademia Albertina, sala con busto del re Carlo Alberto (© foto Fabio Amerio).
Accademia Albertina, sala con busto del re Carlo Alberto (© foto Fabio Amerio).

Fondamentale, altresì, per la Regia Accademia Albertina la successiva nomina e l’impulso dato da Ferdinando Arborio Gattinara Marchese di Breme. Il Marchese di Breme decise, infatti, di rimuovere in toto il corpo docente dell’epoca e di scegliere insegnanti che avessero alle spalle esperienze in Paesi stranieri. Seguendo questo criterio, assegnò la cattedra di pittura al bolognese Gaetano Ferri. Vincenzo Vela, invece, ottenne quella di scultura, grazie al successo ottenuto con il Monumento Torinese dedicato a Cesare Balbo. Enrico Gamba si sarebbe occupato di disegno, per via dei rilevanti studi svolti in Germania; mentre l’importante corso di studi dedicato alla paesaggistica venne affidato ad Antonio Fontanesi.

I personaggi illustri caratterizzarono anche il Novecento con un inizio secolo segnato da un piccolo-grande scandalo causato dalla mancata assegnazione della cattedra di scultura a Leonardo Bistolfi, come successore del Tabacchi. Occasione mancata su più fronti, poiché il Bistolfi avrebbe certamente dato grande prestigio all’Accademia, anche in vista dell’Esposizione Universale Torinese del 1902, del quale fu promotore indefesso. Pochi anni dopo, nel 1906, entrò in scena il celeberrimo Giacomo Grosso, il quale tenne corsi di pittura in Accademia per quasi un trentennio e annoverò, fra i tanti allievi, anche: Boccardo, Onetti e Alciati. Gli anni a ridosso del Secondo conflitto mondiale furono segnati, infine, da Felice Casorati; scelta del tutto naturale, poiché il pittore svolgeva già attività di insegnamento all’interno del suo frequentatissimo atelier in via Mazzini, a Torino.

Giacomo Grosso, autoritratto, 1931.
Giacomo Grosso, autoritratto, 1931.

La scuola di architettura

Il percorso artistico legato all’Ateneo si lega, al contempo, alla svolta architettonica e alla ricerca della bellezza che volgeva lo sguardo ai risultati ottenuti in Francia, Belgio e Austria, a cavallo tra il XIX e il XX secolo. Paesi da studiare e rimodellare, alla ricerca di un autentico “stile italiano”, tenendo, però, conto del fatto che il percorso di studi per chi sceglieva architettura non era continuo e omogeneo come per coloro che si dedicavano alla pittura e alla scultura.

Di particolare rilievo, in questo senso, fu il lavoro svolto da Alessandro Antonelli – nato a Ghemme nel 1798, a lui si deve l’omonima Mole, simbolo di Torino – il quale si dedicò vita natural durante alla ricerca di una nuova urbanistica italiana, solo parzialmente ispirata ai canoni di bellezza specifici dell’Ottocento, ma già rivolta alle future avanguardie. Così come furono significativi gli studi sull’Ornato e la Decorazione perseguiti da Giulio Casanova, i quali posero le basi per l’insegnamento della disciplina in Accademia.

Tuttavia, la spinta fondamentale per definire il curriculum della materia è da attribuirsi a Marcello Panissera di Veglio e alla lettera che indirizzò al Ministro della Pubblica Istruzione nel 1870, tramite la quale richiese la nobilitazione del corso di architettura e l’inserimento dell’Ornato come materia di studio fondamentale nell’educazione artistica e architettonica. Si dovrà attendere, però, quasi un ventennio e un Regio Decreto grazie al quale la scuola di architettura venne dichiarata corso analogo a pittura e scultura.

Alessandro Antonelli e la Mole Antonelliana (foto Wikibuster – CC BY-SA 4.0)

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I tesori della Pinacoteca

Consapevole dell’importanza secolare e della posizione cruciale dell’Albertina nella storia delle belle arti, il visitatore può intraprendere, con maggiore consapevolezza, il percorso fra i lavori esposti. La straordinaria collezione di arte antica collocata tra le sale dell’Accademia nel 1837 dialoga, oggi, con mirabili mostre temporanee (fra le tante, l’indimenticabile Disegnare la Città del 2022, di cui parleremo a breve). Entrarvi equivale ad aprire uno scrigno magico, dove la sacralità delle opere e la bellezza dell’ambiente convivono con la vivacità degli studenti, in costante fermento creativo.

Giovanni Battista Biscarra, La scuola serale del nudo all'Accademia Albertina, 1821, collezione privata (© MuseoTorino).
Giovanni Battista Biscarra, La scuola serale del nudo all’Accademia Albertina, 1821, collezione privata (© MuseoTorino).

La Pinacoteca occupa dodici sale all’interno dell’Accademia e ha subito diversi mutamenti nel corso dei decenni dovuti soprattutto ai danni della Seconda guerra mondiale quando venne scoperchiato il Salone d’Onore. L’attuale assetto ospita circa 300 tra dipinti e sculture e una sessantina di Cartoni ad opera di Gaudenzio Ferrari, uno dei più grandi artisti del Cinquecento nel nord Italia. Il primo nucleo del museo nasce grazie al lascito di Monsignor Vincenzo Mossi di Morano con una serie di dipinti appartenenti alla famiglia. Mossi li donò affinché potessero essere d’ispirazione e aiuto ai futuri studenti. In suo onore, nel 1831, venne eretta una statua con le sue sembianze (oggi nell’atrio dell’Accademia) ad opera di Carlo Marocchetti al quale si deve anche il monumento a Emanuele Filiberto, in piazza San Carlo.

Tornando alla collezione (databile tra Quattrocento e Seicento), troviamo opere di Filippo Lippi (grande protagonista del Rinascimento Fiorentino), lavori fiamminghi e, ovviamente, grandi maestri piemontesi, quali Spanzotti e Ferrari; nonché il lascito di acquerelli del paesaggista Giuseppe Pietro Bagetti. Fondamentale per la collezione della Pinacoteca fu il dono, da parte di Carlo Alberto, dei Cartoni Gaudenziani, nel 1832, oggi arricchiti da un trittico proveniente da collezione privata, sempre ad opera di Gaudenzio Ferrari e la sua scuola. Visibile al pubblico per la prima volta, è riconducibile alla collezione d’arte dell’avvocato Gattino, rampollo di una facoltosa famiglia del Regno di Sardegna, assessore in Piemonte e senatore a vita la cui unica figlia donò, in ultima battuta, tutta la loro collezione alla Piccola Casa del Cottolengo di Torino. In quell’occasione, venne redatto un inventario, il quale attribuì alle Tavole il valore maggiore fra i loro beni. A seguito del passaggio attraverso svariate collezioni private, il trittico ha subito un massiccio restauro tra il 2017 e il 2018 per poi entrare a far parte del nuovo allestimento della Sala dei Cartoni Cinquecenteschi della Pinacoteca.

Accademia Albertina, sale della pinacoteca (© foto Fabio Amerio).
Accademia Albertina, sale della pinacoteca (© foto Fabio Amerio).

Del 1933, invece, la donazione da parte dello Stato di venti dipinti di Giacomo Grosso, deus ex machina dell’Accademia di inizio Novecento. Grosso, come già accennato, ottenne la cattedra nel 1906 insieme a un personale studio all’interno dell’Accademia, occupato anche in seguito al pensionamento. In questo studio – oggi purtroppo non più visibile poiché i contenuti furono venduti all’asta dopo la morte del pittore – dipinse il celebre Nuda. Esposta per la prima volta alla Triennale d’Arte di Torino del 1896, l’opera fu al centro di un enorme scandalo per via della posa lasciva e disinibita della modella. Il matematico Rodolfo Bettazzi ne parlò come di un quadro che andava contro alle “più ordinarie leggi della decenza”, dando così vita a un singolare effetto boomerang, grazie al quale il dipinto finì sulla bocca di tutti, divenendo un successo immediato.

L’attuale assetto della Pinacoteca, coincidente con la riapertura di metà anni Novanta, ha dato nuova linfa vitale alla collezione e agli eventi paralleli. Il percorso è fruibile e inclusivo e può essere svolto in autonomia o durante una delle molteplici visite guidate tematiche, per un itinerario d’incanto.

Tra volumi, disegni, carte e stampe

Oltre alle collezioni, un occhio di riguardo va rivolto alla Biblioteca dell’Accademia Albertina (di sola consultazione), la quale possiede, ad oggi, circa 40.000 volumi, a carattere prevalentemente artistico ed è guidata dalla bibliotecaria e storica dell’arte Barbara Stabielli (che, sentitamente, ringrazio per l’accoglienza), la quale ci ha illustrato progetti e tesori in merito.

Alla Biblioteca sono annessi il Gabinetto dei Disegni e delle Stampe, la Fototeca e l’Archivio storico dell’Accademia. Nel Gabinetto dei Disegni e delle stampe sono conservati circa 5.000 fogli, sia sciolti che rilegati in raccolte miscellanee e tematiche. La raccolta ha origine dalla donazione di Carlo Alberto della attuale sede ed è stata costantemente arricchita nei secoli successivi. Un primo riordino fu opera dell’incisore Giovanni Volpato, nella seconda metà dell’Ottocento, con l’apporto di 39 volumi di stampe miscellanee.

La Fototeca, invece, è composta da stampe realizzate fra la metà dell’Ottocento e i primi anni del Novecento. L’archivio consiste in una raccolta costituita da: carte salate, stampe all’albumina, cianotipie, aristotipi, fototipie, stampe ai sali d’argento e contiene esemplari di assoluta rilevanza storica, sia sul piano della produzione italiana che su quello della produzione internazionale con opere dei Bisson Frères, Charles Marville, Francis Frith, Edouard Baldus e Felix-Jacques, solo per citarne alcuni.

L’Archivio Storico conserva la documentazione prodotta dall’Istituzione a partire da metà Seicento e sino al 1989. Le carte riflettono le vicende e l’evoluzione di una fra le più importanti istituzioni artistiche a livello nazionale e internazionale. Tra i nuclei documentari di maggiore consistenza troviamo: statuti, atti accademici, verbali d’esame, carte contabili e registri studenteschi (in attuale fase di riordino e catalogazione, insieme a un progetto di selezione dedicato alle Donne Artiste). In parallelo, è in atto un programma di digitalizzazione dei testi antichi di Anatomia Artistica, nonché svariati eventi atti alla valorizzazione del Patrimonio, tra i quali ricordiamo i Bibliotour, organizzati in collaborazione con Regione Piemonte: visite guidate esperienziali, arricchite dall’esposizione dei tesori della Biblioteca.

Stampe e volumi esposti durante l’evento “I Tesori dell’Accademia Albertina. La Donna nell’Arte” (foto tratte dalla pagina Facebook Biblioteca dell’Accademia Albertina di Belle Arti di Torino).

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Disegnare la città

Doveroso terminare il nostro excursus con le mostre che da sempre animano l’Istituzione, citandone la punta di diamante, rappresentata dalla più recente ivi tenutasi: Disegnare la città. L’Accademia Albertina tra Eclettismo e Liberty: uno sguardo innovativo sulla Torino Belle Époque, avvalsosi dell’esposizione del Fondo Giulio Casanova. L’Istituto dove Casanova insegnò decorazione gli ha reso omaggio, in questo modo, esponendo un lascito mozzafiato in un turbinio di bozzetti, acquerelli e progetti che restituivano l’immagine e l’architettura della Torino a cavallo tra i due Secoli, evidenziando il patrimonio inesauribile del Liberty torinese. Attenta conoscitrice dello spirito eclettico dell’epoca, Paola Gribaudo, Presidente dell’Albertina, ha coinvolto le scuole di fotografia e scenografia dell’Accademia, al fine di far dialogare al meglio le opere del Fondo Casanova con le esperienze immersive e la collezione permanente, in quella che si è rivelata essere una delle mostre più interessanti e riuscite degli ultimi anni.

La visita coinvolgeva diversi poli e proseguiva a Palazzo Biandrate Aldobrandino di San Giorgio sede del Museo Storico Reale Mutua, concedendoci una piccola digressione per accennare ai tesori racchiusi al civico 22 di via Garibaldi: otto sale, in cui è possibile scoprire la storia della compagnia di assicurazione, esaminando documenti, riscoprendone l’araldica e ammirando una postazione di lavoro anni Trenta, con arredi originali. Oltre alla collezione permanente, l’Archivio della Reale ha esposto i propri cimeli liberty, come parte integrante della mostra curata dall’Accademia.

Disegnare la città era accompagnata da un catalogo-gioiello, curato nei minimi dettagli. Capolavoro nato dalla ben nota maestria artigianale di Paola Gribaudo, esponente di spicco dell’editoria d’arte; la quale annuncia un sequel-prequel incentrato sul Neoclassicismo che non mancherà di sbalordire il pubblico, durante la prossima stagione espositiva.

La giornata inaugurale della mostra “Disegnare la città. L’Accademia Albertina tra Eclettismo e Liberty” (fotografie di Rebecca Silvia Pati, tratte dalla pagina Facebook Pinacoteca Albertina di Torino).

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Bibliografia

  • AA.VV., Disegnare la città. L’accademia Albertina e Torino tra Eclettismo e Liberty, Pistoia, Gli Ori, 2021.
  • AA.VV., La Pinacoteca dell’Accademia Albertina, Torino, Accademia Albertina di Belle Arti di Torino, 2019.
  • AA.VV., Dal Disegno al Dipinto – Un Trittico Gaudenziano Riscoperto, Torino, Accademia Albertina di Belle Arti di Torino, 2022.
  • Gribaudo P., I Cartoni Rinascimentali dell’Accademia Albertina, Milano, Skira, 2021.
  • Poli F., Dalmasso F., Gaglia P., L’Accademia Albertina di Torino, Torino, Istituto San Paolo, 1982. 

SITOGRAFIA

www.pinacotecalbertina.it

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