L’anima dei sassi

Intervista a Patrizia Ferrando

Nulla sembra poter turbare la tranquillità della piccola borgata Pessino ad Arquata Scrivia.
Nulla, tranne una torbida storia d’amore tra l’appena sedicenne Maria e il facoltoso Federico. Dopo una breve e travagliata relazione, la ragazza si troverà protagonista di un’infinita serie di enigmatici eventi. Messa continuamente in dubbio, sfruttata e addirittura internata, Maria lotterà con tutte le sue forze per ottenere quella pace che sembra sempre sfuggirle dalle mani.
L’anima nei sassi racconta di una società rurale del primo Novecento, indagando un misterioso caso di cronaca realmente accaduto e quasi perso nella memoria collettiva.

Una quarta di copertina mozzafiato per un romanzo di rara bellezza. La scrittrice e giornalista Patrizia Ferrando ha all’attivo diversi volumi e racconti romanzati, ma impeccabilmente documentati dal punto di vista storico. Non fa eccezione l’ultimo L’anima dei sassi di cui ci parla nella nostra intervista e del quale proponiamo un estratto.

***

Luci

«Il diavolo non è mai brutto come lo si dipinge!» Era solo un

modo di dire, e l’infermiera voleva probabilmente incoraggiarla

prima delle analisi con atteggiamento di familiarità, ma quel

tirare in ballo il diavolo scatenò tempesta nei suoi pensieri. Nel

descrivere i suoi sintomi, i problemi, gli accadimenti, aveva detto

delle due volte in cui aveva veduto qualcosa che somigliava a

una nube di fumo arcano, con dentro il diavolo, ed era caduta

a terra svenuta. Nell’ambulatorio pulito e candido, tra gli aghi

e gli strumenti freddi, tra le stampe con le palme del giardino e

le sedie rigide, una voce maligna parve avanzare provocazioni

udite da lei sola: lei conosceva l’aspetto del diavolo? Come mai

lo incontrava, l’avrebbe incontrato ancora, e più da vicino, e

per quali scopi? Stava arrivando, forse. Qualcuno aprì la finestra

per far entrare l’aria. Maria perse i sensi.

La luce soffusa della costa ligure penetrava timidamente attraverso

le tende della stanza, regalandole un’atmosfera sospesa

e silenziosa. La ragazza giaceva sul letto, ancora intrappolata

nella morsa di una parziale incoscienza, cedendo alla quale si

era assopita, cercando di ritrovare la consapevolezza del suo

corpo. La frase «Lasciamola riposare» le galleggiava in testa,

insieme al cicaleccio di una donna che qualcuno aveva chiamato

Caterina, zittendola mentre squittiva «Dunque è così che

accade!» e di cosa mai accadesse non conservava forza sufficiente

per domandarsi.

Poco a poco, un senso di nausea l’aveva scossa dal torpore,

costringendola a lottare contro la pesantezza che le gravava sulle

membra. Respirando a cenni affannati, aprì gli occhi lentamente,

come se quel gesto potesse svelarle la verità su ciò che

era accaduto.

Le pareti sorridevano con un immacolato biancore, i mobili

luccicavano con un’eleganza impeccabile e i delicati drappeggi

di tenue calicò danzavano al ritmo della brezza marina che

filtrava dalla finestra socchiusa. Era una stanza di un’eleganza

quasi inquietante, troppo dissimile dalla sua povera casa, e anche

dalle ricercatezze campagnole dei villini, con quel suo lusso

che sembrava volontà di occultare chissà quali segreti.

Maria si guardò intorno, cercando una risposta, interrogando

ogni centimetro di quel luogo che la teneva prigioniera.

Muri e arredi della stanza rilasciavano uno strano aroma, un

profumo di medicinale sciropposo che si insinuava dolcemente

nelle sue narici. Quasi sembrava un inganno olfattivo, uno stratagemma

per farle dimenticare perché si trovava lì.

Un brivido le scese lungo la schiena mentre tentava di alzarsi,

lottando contro il senso di debolezza che ancora la teneva in

ostaggio. I suoi arti illusi e traballanti la abbandonarono subito,

costringendola a crollare nuovamente sul lenzuolo impeccabile.

La paura l’afferrò di nuovo, come una mano invisibile che,

sempre più forte, stringeva il suo cuore. Le pareti sembravano

chiudersi su di lei, il soffitto si abbassava minacciosamente e la

luce su faceva più intensa, come se la volesse accecare. […]

***

Partirei con chiederti qual è stata la genesi del tuo ultimo ‘romanzo’ e se è calzante definire così il tuo volume.

Sicuramente si tratta di un romanzo, non tanto per la componente inventiva, quanto per la volontà di dare prevalenza ai sentimenti e alle emozioni positive e negative, nonché alle relazioni con le loro sfaccettature, rispetto agli elementi analitici. Amo consultare vecchi giornali, leggere pagine e indizi del passato, ed è così che ho incontrato Maria. Volevo scrivere un racconto su di lei, ma sarebbe stato una minuzia aneddotica. Così, ho idealmente portato carta e penna nel 1911…e ne è nato un testo più ampio.

Quale cifra stilistica hai scelto per restituire al lettore le tappe fondamenti nella vita della protagonista?

I miei capitoli sono brevi, quasi come articoli che accendono riflettori su un personaggio o una scena. Il tema della voce di una protagonista, che, a suo tempo, fu tanto osservata però poco ascoltata, per me è centrale: così ho deciso di alternare sprazzi di monologo interiore con descrizioni molto semplici.

Tutti i tuoi lavori sono caratterizzati da precisi rimandi storici. Come ti sei mossa nelle ricerche questa volta?

Oltre alle fonti giornalistiche, abbondanti se si considera che il caso al centro del romanzo si consumò in pochi mesi, ho consultato documentazione e appunti dell’archivio medico del Prof. Enrico Morselli, e testi sugli intrecci, all’epoca, fra psichiatria e teorie spiritiche e sul magnetismo.

Ci racconti delle eventuali difficoltà del romanzare una vita e dello scegliere quale voce dare ad una protagonista così eccezionale?

Le difficoltà sono i bivi narrativi, lo scegliere il momento in cui cala un sipario di silenzio. Per decidere quale voce avesse Maria, ho provato a empatizzare anche coi suoi mutismi e rifiuti a rispondere.

Posso chiederti se stai già lavorando a progetti futuri?

A parte alcuni racconti d’ispirazione storica, lavoro a un romance leggero e a nuovi scritti riguardanti la mia passione per la storia della villeggiatura e di moda e buone maniere.

Emanuela Borgatta Dunnett