Paradisi Proibiti

Intervista a Claudio Pescio

Una galleria di opere d’arte, vista da un’ottica completamente nuova. Un insieme di scene curiose, scandalose, bizzarre, enigmatiche che sfuggono alle classificazioni abituali.

Provocazioni portate alla luce in un recente saggio ad opera di Claudio Pescio, edito da Giunti. Paradisi Perduti gioca magistralmente con la curiosità dei lettori e consente loro di entrare in un museo cartaceo in cui i capolavori vengono studiati sotto la lente particolare dei “paradisi artificiali”: sesso, alcol e droghe. Vie di fuga desiderate, ottenute, talvolta fatali, di cui andiamo alla scoperta con l’autore.

Quali sfide ha determinato una prospettiva artistica così originale, nella stesura del volume?

Più che di sfide parlerei di scelte. Determinate fra l’altro dalle immagini stesse. Sono state le immagini a chiedere di essere analizzate con un occhio diverso da quello strettamente storico-artistico. L’idea del libro, infatti, è partita del permanere nella mia memoria di immagini di opere d’arte particolari, curiose, e anche un po’ reticenti, che chiedevano di essere spiegate. Attorno a quelle immagini hanno finito per accostarsene altre, e alla fine il libro è risultato una raccolta di storie raccontate dalle opere stesse, storie che ci parlano di come si è formata parte del nostro immaginario. Un immaginario, in questo caso, legato al tema della trasgressione, del desiderio di immaginare paradisi dei sensi per sfuggire alla quotidianità.

“Art e Dossier” si distingue per lo stile accattivante e divulgativo. É un punto di vista che ha tentato di mantenere anche nel suo saggio?

Certamente sì. La vocazione della rivista “Art e Dossier”, che dirigo, è di parlare di arte a un pubblico ampio, di appassionati e curiosi, attenti alla cultura, ma non necessariamente di addetti ai lavori. È un lavoro di divulgazione culturale. Un compito essenziale per l’educazione artistica, che in Italia ha molto faticato ad affermarsi. Questo libro segue lo stesso sentiero.

Quale Paese e periodo storico si sono rivelati particolarmente importanti nella ricerca per questa pubblicazione?

Soprattutto il Cinquecento e il Seicento. I secoli in cui, in Europa, si è andato formando l’immaginario “moderno”. Questo grazie alla progressiva laicizzazione e democratizzazione dei consumi culturali, processo a cui si è affiancata con successo una produzione artistica non più destinata solo a un’élite.

Miti, simboli, leggende, malizia e desiderio. Immagino non sia stato facile decidere quali opere includere. Com’è avvenuta la scelta finale? Ci sono autori che si sono rivelati particolarmente audaci, con sua sorpresa?

La scelta è avvenuta nel corso di una vita lavorativa trascorsa a contatto quotidiano con molte migliaia di immagini di opere d’arte. Come dicevo prima, sono state loro a imporsi, in qualche modo. Ma è anche vero che, lavorando alla stesura e montaggio del libro, alcuni autori sono emersi prepotentemente per lo sguardo “nuovo” che hanno saputo rivolgere al tema dell’eros: parlo soprattutto di Tiziano, Tintoretto e, per l’Ottocento, John William Waterhouse, un suo quadro è finito in copertina, infatti. Quanto all’audacia, nessuno batte Giulio Romano e Pierre Subleyras illustratore di un inaspettato La Fontaine.

La Confraternita Preraffaellita e l’epoca vittoriana ricorrono spesso fra le pagine. Quali caratteristiche delle loro opere, rende questo gruppo di artisti particolarmente adatti all’argomento trattato?

Ho già accennato a Waterhouse, appunto preraffaellita. La lettura che molti membri del gruppo hanno dato del mito greco è stata al tempo stesso favolistica, misteriosa, elegantissima e sensuale. E tutto questo nell’Inghilterra vittoriana.

Emanuela Borgatta Dunnett